Tra poli-amori e ‘manie evangeliche’. Intervista ad Aurelio Mancuso sui futuri delle famiglie LGBTQI


Questo post è parte del laboratorio “I futuri delle famiglie LGBTQI nell’Italia del 2050”.

Aurelio Mancuso, valdostano di nascita, vive a Roma, dove si occupa di giornalismo e contribuisce attivamente alla vita politica cittadina e italiana.
Dalla metà degli anni ’90, è parte del movimento LGBTQI (lesbiche gay bisex trans queer intersex), al cui interno ha anche ricoperto incarichi nazionali di responsabilità.
Nel 2050, Aurelio avrà 88 anni – “Quel giorno, avrò dedicato tutta la mia vita alla libertà, che è il bene a cui teniamo di più, ma non apparterrò alla ‘carne viva’ della nostra comunità. Ci sarò ancora, ma avrò altri ruoli“.

A febbraio 2024, per la mia tesi di fine master, ho voluto raccogliere anche la sua opinione sui futuri delle nostre famiglie.

Questo post, che è stato da lui vistato, raccoglie una selezione delle sue idee, analisi, sfide al riguardo.
Io le ho riorganizzate, al fine di renderle omogenee allo stile di questo blog.


> Come immagini il futuro delle famiglie LGBTQI?

Il nostro futuro è connesso al futuro delle famiglie eterosessuali.
In Occidente (ma non sono), la società cambia e le famiglie cambiano con essa.
Il modello familiare tradizionale, costituito da padre, madre e vari figli e figlie, e che dalla fine degli anni ’90 costituisce un punto di riferimento anche per noi persone LGBTQI, continuerà a perdere centralità.
Non scomparirà del tutto, ma non sarà più l’unico.

Siamo tutti in una fase di transizione, non comprendiamo bene la situazione.
Io credo che questo disorientamento potrebbe avere un esito positivo, perché potrebbe portarci a soluzioni inedite rispetto ad alcuni dei problemi di oggi in fatto di diritti.

> Cosa intendi?

In questi anni, abbiamo molto lottato per il riconoscimento dei nostri diritti individuali – personali e di coppia.
Sono stati e sono tuttora il cuore delle nostre rivendicazioni; lo rimarranno anche in futuro.

Di fatto, in questi anni è prevalsa un’interpretazione individualistica di questi diritti – ‘Io gioco per me’, ‘Per il mio piacere’, ‘Per il mio riscatto’, ‘Per il mio futuro’.
Il diritto individuale è stato declinato in termini di ‘Affermazione di sé indipendentemente dagli altri e dal contesto circostante’.

Questa tendenza ci ha fatto fare molti passi in avanti.
Ma, specie quando si è intrecciata ai social media e si è sviluppata all’interno di relazioni familiari sempre più parcellizzata e fragili, ha anche generato una grande ondata di solitudine.
Siamo una comunità di persone – soprattutto le più giovani e le più anziane – che si sentono molto sole: oggi siamo molto più chiusi ‘a riccio’, in noi stessi e nelle nostre piccole reti, rispetto a qualche anno fa.

Io credo che la crisi che stiamo vivendo potrebbe spingerci a cercare un nuovo equilibrio; potrebbe determinare l’arretramento di un certo individualismo.
C’è bisogno di un nuovo sentimento di comunità.
Si aprono opportunità per nuovi diritti – individuali ma non esclusivi.

Questa è una delle sfide più grandi che ci aspettano.
Non sarà facile.

> Un certo tipo di famiglia perderà peso, quindi. Quali altri emergeranno?

Io osservo con molto interesse le relazioni poli-amorose, che stanno emergendo e consolidandosi.

Nella nostra comunità, sono più diffuse rispetto che nella società generale; rimangono, tuttavia, un’esperienza statisticamente minoritaria.
Al di là dei numeri, secondo me, sono però molto significative perché segnalano una possibile e convincente direzione per il futuro… una tendenza di medio-lungo termine.

Il pensiero che producono non è omogeneo.
C’è chi – nulla di nuovo per noi LGBTQI – sottolinea il valore della libertà sessuale che incarnano.
E c’è chi – ecco il carattere di novità – parte dalle loro pratiche sociali per ridisegnare il profilo dei diritti e dei doveri. Alcune città [ad esempio Somerville, nel Massachusetts USA – NDR] hanno già cominciato a includere questo tipo di relazioni nelle proprie regolamentazioni locali sulle unioni civili.

> Perché le trovi così ‘promettenti’?

Perché connettono in forme nuove una serie di diverse esigenze, solo in apparenza opposte, tutte fondamentali e molto care a noi LGBTQI – a partire dal sesso e dall’amore.
Sesso e amore sono dimensioni distinte, che si possono unire, ma che non sono sempre interdipendenti.

Un altro punto rilevante è che le relazioni poli-amorose combinano libertà e responsabilità.

Mettono inoltre in relazione l’individualità e l’espressione di sé e la necessaria tutela della parte più debole – ad esempio il partner più anziano, e i figli e le figlie minorenni.

> Cosa dovremmo fare, come comunità LGBTQI, per prepararci al meglio per il futuro?

Dobbiamo ricominciare a produrre pensiero.
Oggi ci stiamo limitando a ‘scimmiottare’ correnti di pensiero che arrivano dall’estero, senza alcuno sforzo critico.

Dobbiamo produrre osservazione e conoscenza reali.
Non sappiamo come le persone LGBTQI vivono la vita ogni giorno.
Ci interessa soltanto di ciò che pensano e dicono i gruppi dirigenti del nostro movimento.
Rischiamo così di disancorarci dal mondo.

Dobbiamo tornare ad avere una spinta accogliente nei confronti delle differenze.
Oggi siamo ‘schiacciati’ su un’unica ‘parola magica’: ‘Queer’.

Riconosciamo un solo tipo di pensiero e affermiamo pubblicamente che tutti gli altri non soltanto non hanno valore ma sono persino nostri nemici da combattere.
Questo atteggiamento crea incomprensioni, fratture, sofferenze.
La nostra base ascolta e vive con ‘morbidezza’ questioni che, tra i militanti e le militanti, hanno invece prodotto barriere insormontabili.
Quando, per convincimento ideologico e non per fatti emergenti dalla realtà, i vertici arrivano a lottare contro una parte della propria base, con l’obiettivo di convincerla o allontanarla, siamo di fronte ad un movimento che crede più nella dittatura illuminata che nella democrazia liberale – che cioè è diventato reazionario.
Questa ‘mania evangelica’ è un errore madornale.

Se non risolviamo questi problemi nel 2024, ci scoppieranno addosso nel 2050.

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