
Questo post è parte del laboratorio “I futuri delle famiglie LGBTQI nell’Italia del 2050”.
Carla è un nome di fantasia. E’ stato scelto da una persona che preferisce rimanere anonima.
Carla si occupa di sociale e ha una forte passione sportiva. E’ una donna decisa e indipendente. Da giovane ha partecipato al movimento LGBTQI (lesbiche gay bisex trans queer intersex) ed è molto riconoscente per le belle esperienze maturate in quelli anni; la vita, in seguito, l’ha condotta altrove.
Nel 2050, Carla avrà 83 anni – “Quel giorno, mi auguro che la nostra comunità sarà meno ‘spezzata’ di adesso“.
A marzo 2024, per la mia tesi di fine master, ho voluto raccogliere anche la sua opinione sui futuri delle nostre famiglie.
Questo post, che è stato da lei vistato, raccoglie una selezione delle sue idee, analisi, sfide al riguardo.
Io le ho riorganizzate, al fine di renderle omogenee allo stile di questo blog.
> Come immagini i futuri delle nostre famiglie?
Mi piacerebbe dire che sarà un bellissimo futuro, ma ho dei dubbi, perché non sono sicura che la nostra comunità sarà un buon sostegno collettivo.
Ho paura che le nostre famiglie saranno invece obbligate a difendersi da sole, magari soltanto con l’aiuto – a pagamento – di un avvocato.
> Perché?
Leggendo i giornali e frequentando i social, la mia impressione è che mai come adesso siamo divise al nostro interno.
Oggi sembra che ci siano tante comunità, frammentato, parallele, in lotta tra di loro.
E poi alcune persone LGBTQI sono completamente dimenticate.
> Anche in passato era così?
In parte.
Quando frequentavo la comunità della mia zona, c’erano sempre discussioni: chi votava un partito e chi un altro, chi preferiva il divertimento e chi l’auto-consapevolezza, chi era religiosa e chi no, chi era più giovane e chi più adulta…
Era normale, eravamo diverse; ricordo però che ci sentivamo anche tutte unite, soprattutto di fronte ai problemi grandissimi che dovevamo affrontare, come l’AIDS, le giovani lesbiche sbattute fuori di casa, l’ignoranza e l’omofobia delle ginecologhe…
Gli anziani – li potevi contare sulle dita di una mano e venivano poco alle riunioni, anche perché avevano gusti diversi dai nostri, ma nei momenti importanti c’erano.
Oggi stanno diventando la maggioranza, eppure non li vedi mai ai nostri eventi, e nessuno se ne interessa.
Una volta, eravamo meno numerose e la comunicazione era più facile.
Oggi siamo molte di più e avere un’unica voce è probabilmente soltanto un’utopia.
Sono però preoccupata per il fatto che io alcuni messaggi di associazioni LGBTQI proprio non li comprendo, pare che usino un’altra lingua.
‘La diversità è una ricchezza’ – io ci ho sempre creduto moltissimo.
Oggi sembra che abbia, invece, vinto lo scontro – ‘Se non la pensi come noi, sei contro di noi’.
L’attuale guerra tra femministe è terribile e ci indebolisce tantissimo, perché chi ci odia potrà farlo più facilmente se non siamo unite.
> Cosa dovremmo fare, come comunità LGBTQI, per prepararci al meglio per il futuro?
Non nascondere la testa sotto la sabbia: non imporre un’unica posizione e non fingere che la pensiamo tutte uguali, ma riconoscere esplicitamente che è possibile – e bello – avere opinioni diverse.
Mediare, incontrarsi, discutere, tentare di arrivare ad una sintesi, a una convergenza, fin dove è possibile, senza costruire trincee.
Ci servono sia leader capaci di svegliarci ed entusiasmarci, sia sarte che sanno con umiltà rammendare, rinforzare, rattoppare, unire, creare.
Dovremmo imparare dai giapponesi a riparare i cocci con l’oro… a considerare preziose le cicatrici… ad avere fiducia: le opere in frantumi possono essere ricomposte, se le si cura con pazienza.
