
- Il genere grammaticale e le sue conseguenze sociali
- Tragicommedia in 7 atti (finora)
- Conclusioni
1)
IL GENERE GRAMMATICALE E LE SUE CONSEGUENZE SOCIALI
Nel mondo, come racconta Wikipedia, le lingue sono strutturate molto diversamente rispetto al genere grammaticale delle parole.
Anche nella nostra piccola Europa la realtà è eterogenea.
L’italiano, come è noto, prevede il maschile e il femminile.
Secondo alcune riflessioni di minoranza, ciò pone dei problemi di inclusività:
- Parte del pensiero femminista si focalizza sui termini delle professioni (‘sindaco’ e ‘sindaca’, ‘architetto’ e ‘architetta’) e critica il plurale maschile neutro ~ E’ discriminatorio usare la formula “Cari amici” per intendere sia i “Cari amici maschi” sia le “Care amiche femmine”?
- Parte del pensiero LGBTQI (Lesbico, Gay, Bisex, Trans, Queer, Intersex) pone la questione delle persone con identità di genere non binaria e di quelle intersex ~ E’ discriminatorio usare un linguaggio radicalmente organizzato in modo dicotomico?
Io sono convinto che con le parole si fanno le cose.
E condivido questo passaggio di un articolo pubblicato dall’Osservatorio dei media a tema transgender, non-binary e gender creative:
È attraverso il linguaggio che stabiliamo cosa è possibile e cosa non lo è. Cosa esiste e cosa non esiste ancora perché non esiste un linguaggio per rifletterlo e raccontarlo.
“Linguaggio neutro” (di TransMediaWatchItalia)
Il linguaggio stabilisce chi e cosa viene considerat* standard e non ha bisogno di spiegazioni e chi deve venire spiegato o identificato rispetto allo standard attraverso artifici grammaticali […].
La teoria, i princìpi e i propositi sono buoni.
Ma le soluzioni finora sperimentate non sembrano pienamente adeguate.
Perché certamente risolvono delle questioni, ma allo stesso tempo ne aprono altre e le lasciano irrisolte.
E perché – secondo me – esse sempre più spesso usate come clave all’interno del gioco tra le parti invece che come tentativi per migliorare assieme la realtà.
2)
TRAGICOMMEDIA IN 7 ATTI (FINORA)
Come rendere la lingua italiana più rispettosa nei confronti della diversità di genere?
In questi anni anni abbiamo assistito ad una serie di proposte: alcune si sono aggiunte alle precedenti, altre si percepiscono come definitive e mirano a sostituirle completamente.
Ne presento una carrellata, usando una certa ironia, per rendere più accessibile questo campo di battaglia, e perché sono persuaso che uno scherzo o dice mezza verità o riesce a dire una verità e mezza.
1 – CARI AMICI
All’inizio usavamo soltanto il plurale maschile per indicare sia le amiche che gli amici.
Ma era certamente sbagliato perché il femminile veniva cancellato.
2 – CARI/E AMICI/HE
Poi abbiamo adottato la barra obliqua (aka ‘slash’).
Ma la scrittura e la lettura diventavano difficili e qualcunO/A giustamente se ne lamentava.
3 – CARI AMICI E CARE AMICHE | CARE AMICHE E CARI AMICI
Quindi abbiamo scelto di raddoppiare le parole.
Ma subito e opportunamente è esploso il problema del loro ordine:
> Prima il M e poi il F (che è misogino)?
oppure
> Prima il F e poi il M (che è servile e prono rispetto al sessismo borghese del galateo)?
4) CARE AMICHE [e basta]
In seguito alcunE hanno convenuto di usare soltanto il plurale femminile, per sottolineare il problema del patriarcato e rimarcare la propria posizione al riguardo.
Ma varie persone, di diverso genere e fino ad allora attente al genere delle parole, si sono sentite legittimamente escluse.
5 – CARU AMICU
E’ stato così che qualcunU ha avuto un’idea geniale: usare la U – una vocale che in italiano non c’entra alcunché con il genere.
Ma moltU non si sono sentitU riconosciutU nella loro unicità, soggettività, identità, valore.
E il suono così prodotto, secondo alcunU, era vagamente ridicolo.
6 – CAR* AMIC*
(Opzione disponibile anche nelle versioni, analoghe dal punto di vista funzionale: CAR@ AMIC@, CAR_ AMIC_ e CARx AMICx)
E’ stata quindi la volta dell’*.
Delicat* e carin* da vedere, tra l’altro.
E’ durat* più a lungo della U, ma poi è invecchiat* anch’ess* e oggi non è più percepit* come progressist* e di cambiament*.
7 – CARə AMICHə (CAR3 AMICH3)
La frontiera è oggi rappresentata dallə ə (aka ‘schwa’ o ‘scevà’) – un segno usato e fonologia per indicare la vocale centrale media.
Lə ə che, secondo alcun3, al plurale fa 3. Che per altro è molto più facile da digitare, visto che non tutt3 hanno imparato ad ottenere lə ə dalla tastiera (lo confesso, nemmeno io).
Forse per la prima volta, la discussione su questa rivoluzione linguistica è uscita dai confini delle minoranze femminista e LGBTQI e ha coinvolto tutta la società. Ne ha scritto anche l’Accademia della Crusca.
3)
CONCLUSIONI
Grandi discussioni, lotte, mosse e contro-mosse, persino litigate su questi temi…
A cui partecipo con interesse, ma senza assolutizzare, e professando leggerezza, distacco e disincanto.
Perché noto che, indipendentemente da ciò che ne dicono i suoi promotori, finora ogni soluzione è risultata temporanea e nessuna si è rivelata perfettamente inclusiva, specie se vista con gli occhi del domani.
Viste da fuori, assumono una diversa connotazione le polemiche che ci fanno il sangue amaro.
Di più, scorgo una intensificazione, una accelerazione, nei processi generativi di soluzioni su questo fronte.
Le innovazioni si affacciano sempre più numerose e di frequente.
> Per un verso, ciò è l’esito di una maggiore sensibilità sui temi della inclusività e del genere – che è un’ottima cosa.
> Per l’altro verso, temo che ciò possa essere anche la conseguenza di una sorta di ingenuità (venata da una certa inquietudine, a dire il vero, com’è per tutte le neo-lingue di orwelliana memoria): quella di pensare che il linguaggio praticato (orale) possa essere modificato, e con esso la struttura sociale, semplicemente imponendo una nuova regola, proveniente dalla riflessione astratta, al linguaggio specialistico e istituzionale (scritto).
P.S. n.1
Un amico mi ha fatto notare che c’è l’ennesima alternativa: triangolare.
Comporta un certo spreco di spazio e di caratteri, ma permette di comunicare senza dover prendere necessariamente posizione in una diatriba dai toni accesi e fortemente ideologizzati: CARE PERSONE AMICHE.
Sipario.
P.S. n.2
Ce n’è un’altra: l’ordine alfabetico.
Si deve dire CARE AMICHE E CARI AMICI non per infliggere un duro colpo al dominio del “maschio bianco, cisgender eterosessuale e borghese” (cit.), ma perché, nel dizionario, “care” viene prima di “cari”.
Semplice. Neutrale.
Apparentemente.
Perché ci sono poi mille imprevisti e incidenti critici: se va bene AMICA E AMICO (la A prima della O), allora deve andare anche bene ATTORI E ATTRICI (la O prima della R). E l’effetto è lo stesso se si aggiungono gli articoli: GLI AMICI prima di LE AMICHE; UN AMICO prima di UN’AMICA .
Fuochi d’artificio.