Femminismo e comunità LGBTQI: madrina o matrigna?

  1. Al seguito delle femministe
  2. Diverse modalità di integrazione
  3. La questione maschile
  4. Futuri possibili?

1)
AL SEGUITO DELLE FEMMINISTE

Ci sono molte culture politiche LGBTQI (Lesbiche, Gay, Bisex, Trans, Queer, Intersex) oggi in Italia.
Non è vero che la pensiamo tutti alla stessa maniera; nella nostra comunità e nell’arena pubblica, alcune idee trovano però più spazio di altre.
Vi sono idee di maggioranza e idee di minoranza.

La cultura politica LGBTQI oggi dominante nei media e nell’associazionismo di settore ha una caratteristica particolare: ha infatti molti aspetti in comune con la cultura politica femminista.
Per molti versi, essa è un calco di quella femminista.

Il contatto tra le due è avvenuto negli anni ’70.
In quel periodo rivoluzionario, alcuni pionieri LGBTQI che sarebbero poi diventati egemonici appartenevano alla stessa area politica e avevano un obiettivo strategico in comune: accreditare la nostra comunità come movimento collettivo – al pari di quello operaio, degli studenti, delle donne.
A tal fine, decisero che era opportuno avere una particolare madrina: il femminismo.

Fu una scelta fondamentale. Definitoria. Di enorme portata per noi.
Tuttora ne viviamo l’effetto.
Ci ha dato molte delle parole che usiamo per parlare di noi stessi, della nostra identità, dei nostri auspici.

Fino a qualche tempo fa, femminismo e pensiero LGBTQI mainstream avevano tematiche e priorità di fatto sovrapponibili; ideali ed eroi simili; si scandalizzano, arrabbiano, attivano per problematiche analoghe e, all’unisono, chiudono invece gli occhi su altri argomenti.

Poi, in quest’ultimo periodo, qualcosa di importante si è spezzato, come ho scritto nel post Fratture. 4 punti di contrasto nella comunità LGBTQI, con particolare riguardo alla gestazione per altri e alla genitorialità sociale, al sex work, ai processi identitari queer.
Lo dimostra l’acceso scontro sul disegno di legge Zan in corso all’interno della nostra comunità.

2)
DIVERSE MODALITA’ DI INTEGRAZIONE

Al di là di tali recenti conflitti, è lampante che per 50 anni la parte organizzata e politica della comunità LGBTQI ha coltivato una solida alleanza con il femminismo.

Come si è concretizzato questo lungo percorso assieme?
Quali benefici e costi ha prodotto?

Non si è trattato di un’alleanza tra pari, visto che da sempre il pensiero femminista è più forte del pensiero LGBTQI.
Le relazioni non sono sempre state biunivoche: il femminismo ha influenzato il nostro mondo più di quanto la nostra comunità ha influenzato il mondo delle donne.

E’ chiaro che il femminismo è stato fondamentale per la nostra formazione; ci ha ispirato moltissimo.
L’abbiamo recepito in tanti modi; ci siamo integrati con diverse soluzioni.

> In molti casi, ne abbiamo assorbito consapevolmente e con convinzione le priorità, perché erano assolutamente centrali anche per le nostre vite.
E’ il caso, ad esempio, dei concetti di auto-determinazione, sessualità consapevole, auto-coscienza.

> Talvolta, ne abbiamo parzialmente adattato l’agenda, con modificazioni.
E’ il caso del patriarcato, che nel nostro caso è diventato etero-patriarcato, inserendo quindi nel discorso una distinzione – che è tutta nostra – tra uomo gay e uomo eterosessuale.

> Ancora, talora abbiamo integrato i capisaldi all’impianto femminista originario – vi abbiamo aggiunto e sviluppato delle nuove nozioni, al fine di raccontare e valorizzare le nostre specificità (con particolare riguardo per quelle trans e queer).
E’ il caso del concetto di identità di genere.

> Altre volte, abbiamo sorvolato su alcune questioni-cardine – le abbiamo cassate, perché ritenute non pertinenti nel nostro caso.
E’ il caso dei temi della conciliazione dei tempi della famiglia, della cura e del lavoro.

> Altre volte ancora, ne abbiamo inglobato acriticamente e con subalternità alcuni princìpi – compresi quelli contrari ad una parte della nostra comunità.
Difficile dire se l’abbiamo fatto con l’unico fine di suggellare la nostra intesa con il femminismo, come una prova di fedeltà e lealtà agli occhi delle donne… non è chiaro quanto fossimo consapevoli delle conseguenze di medio periodo di questo tipo di scelte sulle nostre esistenze… chissà se c’entra anche una qualche forma di inferiorità e colpa interiorizzate da parte nostra… rimane il fatto che, col senno del poi, è evidente come la comunità LGBTQI si sia accodata al pensiero femminista anche quando questo conteneva dei messaggi controversi o iniqui nei confronti di una parte di noi stessi.
E’ il caso, scoppiato in questi anni in riferimento alle persone trans, del radicamento biologico dell’identità femminile.
Ed è anche il caso, forse più grave perché non riconosciuto come problematico e quindi rimasto sotto-traccia, dello svilimento della soggettività maschile.

3)
LA QUESTIONE MASCHILE

Il femminismo ci ha dato molto, certamente; però qualcosa ci ha ancora tolto.
Il patto col femminismo ci ha fatto perdere qualcosa di molto prezioso: la disponibilità e la capacità di guardare senza pregiudizi negativi alla nostra componente maschile.
E’ stata una perdita molto costosa.

Mentre per il femminismo il maschile è l’altro, l’esterno da sé, indipendentemente dal quale va costruito il proprio empowerment e contro il quale è possibile e agevole la contrapposizione ed il gioco delle parti, per il pensiero LGBTQI, al contrario, il maschile è uno degli elementi strutturali, costitutivi, interni, che è possibile combattere e allontanare da sé soltanto provocando danni e sofferenze al proprio corpo sociale – con particolare riguardo per le soggettività maschili (uomini gay e uomini bisessuali, in parte anche le persone trans FtM).

Purtroppo, invece, il pensiero politico LGBTQI dominante da sempre promuove e legittima la negazione e lo svilimento della soggettività maschile.
Il valore del maschile non è soltanto disconosciuto, ma viene persino continuamente e deliberatamente sminuito, sacrificato.

Non si tratta di un evento fortuito, bensì della conseguenza di un preciso assunto, fondato su una visione dicotomica e granitica dell’universo: il femminile è soltanto positivo e il maschile è soltanto negativo.

Di questo sbilanciamento di genere ho già scritto in un altro post: Quale ruolo per l’identità maschile nella comunità LGBTQI?
Qui desidero sottolineare soltanto alcuni aspetti tra i più problematici, secondo me:

  • La carenza di modelli di riferimento positivi – di tipo valoriale, identitario, estetico – veicolati dai vertici della comunità LGBTQI e a disposizione degli uomini
  • Lo predominanza dello sguardo patogenetico nella narrazione ufficiale del maschile, con l’obiettivo di evidenziarne sempre e soltanto le debolezze e le problematiche e di tacere, al contempo, sui punti di forza e sugli aspetti di salute e di empowerment
  • La discriminazione negativa che colpisce le rappresentazioni, il gergo, le preferenze del polo maschile
  • I tabù della misandria (qualcuno ne ha scritto “La misandria non esiste. E’ soltanto l’ultima invenzione dei misogini“) e della femminilità tossica (di tossico è concepibile e ammissibile, secondo i maestri del pensiero imperante, soltanto la mascolinità)
  • L’ingiusto trattamento che ricevono le persone che esplicitano questi temi: le loro riflessioni, critiche e proposte concettuali e politiche vengono molto spesso svalutate e derubricate ad affermazioni di natura meramente sessuale, o patologizzate, o rese ridicole

4)
FUTURI POSSIBILI?

Oggi parte del femminismo ci è diventata matrigna.
Lo scontro è divampato e varie femministe, forse per la prima volta in questa generazione, dicono ad alta voce che i gay e le persone trans (immagino pensino a quelle MtF) sono e rimangono innanzitutto dei maschi e che le nostre elaborazioni e proposte sono quindi esse stesse strutturalmente funzionali al patriarcato; quindi da combattere.

Ci sentiamo orfani.
Ci eravamo tanto esposti.
Ci speravamo tanto.

Dobbiamo reinventarci, riscoprire la nostra autonomia per costruire un contenitore più ampio, flessibile e in grado di raccogliere tutte le nostre traiettorie LGBTQI.
E’ un’opportunità importante, da sfruttare appieno.

Ce la faremo a fare finalmente i conti con il fatto che, in tutti questi anni, abbiamo perso il contatto con la componente maschile della nostra comunità?

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