Pratiche Queer: opportunità e problemi

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1) Cosa significa Queer
2) Applicazioni del pensiero Queer
– Simboli

  – Lessico
3) Nuove opportunità
– Contro le rigide etichette identitarie

  – Nuova centralità al sesso
4) Nuovi problemi
– Controversie terminologiche

  – ‘Astrazione’ vs. ‘Realtà’
  – Emozioni e relazioni tra sospetto e pregiudizio
  – Frammentazione e appartenenza
– Discriminazioni interne
5) Per una responsabilità sociale di pratica

“Queer” è un termine relativamente nuovo nel panorama LGBTQI (Lesbiche, Gay, Bisex, Trans, Queer, Intersex).
Ho dovuto studiare per comprenderlo, con una certa fatica, visto che – lo dichiaro subito – la mia ‘socializzazione gay’ è avvenuta ben prima del suo arrivo in Italia (… e cambiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, da adulti, è piuttosto difficile).

Non sono un esperto di teorie, di come il pensiero Queer incroci quello del gender, delle filosofie critiche e dei riferimenti del femminismo e della radicalità.
Mi interessa di più il seguente interrogativo: Quali conseguenze ha il mondo delle idee sulla realtà quotidiana della nostra comunità, soprattutto in termini di opportunità di inclusione e di miglioramento della nostra condizione?

Sono convinto che, dal punto di vista delle pratiche, il pensiero Queer sia ambivalente: presenta cioè sia opportunità, sia problemi.

Il Queer, inoltre, non è unico ma sfaccettato; si esprime in varie tonalità.
Questo post semplifica necessariamente tale ricchezza di stili e di contenuti.

1)
COSA SIGNIFICA QUEER

Wikipedia spiega che:

“Queer” è un termine generico utilizzato per indicare le minoranze sessuali e di genere che non sono eterosessuali o non sono cisgender.
È un termine della lingua inglese che tradizionalmente significava “eccentrico”, “insolito”. […]

In italiano si usa per indicare quelle persone il cui orientamento sessuale e/o identità di genere differisce da quello strettamente eterosessuale o cisgender […]

Non è però un sinonimo di LGBT.
Il termine Queer nasce anche (e soprattutto) in contrapposizione agli stereotipi diffusisi nell’ambiente gay.

In generale, il pensiero Queer è nato per rendere conto e interloquire con tutte le soggettività non conformi, fluide, non binarie, ‘resistenti’ – soprattutto le soggettività che si ponevano oltre, sopra, negli interstizi o ai lati delle definizioni e delle identità più ‘forti’, consolidate, legittimate nella società di maggioranza.

Il suo intento è pertanto duplice:

  • Ampliare il campo delle minoranze sessuali : Più persone di quanto si potrebbe pensare rientrano in questo gruppo
  • Sottolineare l’eterogeneità all’interno di tale campo : Pur appartenenti allo stesso gruppo (minoritario), le persone sono più diverse tra di loro di quanto si potrebbe pensare

Centrale è quindi il confronto con le aspettative sociali; e fondamentale è la necessità di una loro decostruzione e critica.

2)
APPLICAZIONI DEL PENSIERO QUEER

Credo che l’impatto del pensiero Queer sul nostro mondo sia [ancora] minoritario.
Alcuni settori l’hanno già incarnato; altri sembrano meno interessati o adattabili.
Secondo alcuni osservatori, del resto, quello del Queer è un cambiamento generazionale che richiede del tempo per svilupparsi appieno.

Evidente è la sua influenza soprattutto in due campi – entrambi ai confini con l’importante sensibilità della c.d. ‘political correctness’:

  • I simboli
  • Il lessico

– Per quanto riguarda i SIMBOLI, interessante è il dibattito in corso sulla bandiera che contraddistingue la nostra comunità: la rainbow flag.
Va difesa o aggiornata, mantenuta o cambiata o sostituita, al fine di includere ed esplicitare le esistenze finora rimaste in secondo piano rispetto alla narrazione LGBTQI prevalente?

Durante i Pride, è possibile vedere sempre più vessilli diversi dall’arcobaleno tradizionale: con una striscia dorata (ne parla il collega Massimo Modesti, per quanto riguarda la lotta intersezionale), con colori inediti (il nero e il marrone, ad esempio, per richiamare le differenze di nazionalità e di classe socio-economica), con l’aggiunta di simboli.
Una ricca carrellata della moltitudine di possibili vessilli dell’orgoglio LGBTQI è, ad esempio, pubblicata su Wired.
Anche il mercato si adatta e ne è espressione (v. QUI).

– Per quanto riguarda il LESSICO, è innanzitutto evidente la diffusione della convinzione secondo cui è necessario e opportuno allungare l’acronimo che dà un nome alla nostra comunità (da LGT a LGBTI, ad esempio).
Parallelamente, varie nostre associazioni hanno adattato il proprio nome nel corso di questi anni. Interessante è, ad esempio, il caso di Arcigay: nata “gay”, quindi “gay e lesbica”, infine attualmente “LGBTI”.

Molto importante è poi la crescente attenzione alla declinazione di genere dei sostantivi e degli aggettivi – specie in una lingua fortemente ‘genderdizzata’ come l’italiano.
Per risolvere la questione, qualcun* predilige l’asterisco altre e altri puntano all’esplicitazione di entrambe le versioni, spesso con quella femminile al primo posto.

Inoltre, strategica è la domanda di nuovi termini per nuovi mondi e nuove caratterizzazioni esistenziali.
Molti neologismi vengono così creati, diffusi, fatti propri da varie persone, ad esempio: gender fluid, etero- e omo-flessibilità, cishet, demisessualità, abrosessualità, non-binarietà.

Infine, meno visibile nell’arena mainstream, ma tuttavia significativa, è la richiesta, da parte di un numero crescente di persone queer che non si sentono rappresentate dalla polarità ‘Maschio’ vs. ‘Femmina’ ma ne vivono la trasversalità, la compresenza, la diagonalità, la mutevolezza, di essere riferite in quanto ‘Loro‘ (‘They’), ovvero col pronome neutro, invece che in quanto [soltanto, prevalentemente, sia] uomini oppure [soltanto, prevalentemente, sia] donne.

3)
NUOVE OPPORTUNITA’

Il pensiero Queer è delle proposte concettuali più innovative e promettenti di questi anni.
E’ un prodotto di questo secolo, che nasce nell’ambito della post-modernità.
Risponde in modo interessante ad alcune critiche mosse alla modernità, nonché ad alcune ragioni della sua crisi in riferimento alle persone LGBTQI.
E’ attuale e tratta dei cambiamenti e delle sfide che stiamo vivendo – in modo più o meno diretto.
Da questo punto di vista, rappresenta pertanto un chiaro miglioramento dell’apparato interpretativo a nostra disposizione.

La deperimentrazione e la complessificazione del campo LGBTQI sono un arricchimento.
Lo è anche la tensione con le idee e i modelli più tradizionali, che possono effettivamente essere ‘ingessati’ o limitanti, per lo meno in riferimento ad alcune soggettività minoritarie, relegate alle periferie e meno rappresentate della nostra comunitàsoprattutto quelle trans, che [ri-]ottengono così più giusta posizione di centralità.

Ci fa aprire gli occhi, ci interroga, ci spinge alla verifica, promuove il cambiamento.

Ha poi altri due meriti, dal mio punto di vista:

  • La critica alle ristrettezze di talune etichette identitarie ‘classiche’ e immutabili, anche a fronte dell’idea per cui l’esperienza di minoranza è sempre più universale e non è più confinata ad alcuni ambiti (analogamente a quella del ‘migrante’). A questo riguardo, un blog che seguo con interesse parla di “furia autoritaria degli incasellatori“. Altri scrivono: “Il postulato di un’unica personalità per ogni persona mi è sempre sembrato troppo minimalista” (Olga Tokarczuk, Nobel per la letteratura 2018, ne “I vagabondi”). Altri ancora, ironicamente, fanno notare che esiste un’etichetta anche per chi non vuole ‘mettersene addosso’ una
  • La rifocalizzazione sui temi del sesso, cioè di tutto il ventaglio dei comportamenti sessuali – compresi quelli ‘perturbanti’, indecorosi, meno accettabili e quindi ‘premiati’ a livello sociale, che possono mettere in pericolo l’immagine rassicurante che abbiamo costruito di noi stessi. Si tratta di una giusta osservazione, secondo me, soprattutto dopo anni di impegno politico LGBTQI incentrato su questioni considerate più nobili e spendibili a livello di mass-media, quali il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e, ora, l’omo-bi-transfobia

4)
NUOVI PROBLEMI

Sono debitore nei confronti di Nicola Riva per un post pubblico che ha scritto su Facebook un paio di anni fa, in cui evidenzia alcuni punti controversi del pensiero Queer:

Il Queer nasce come atteggiamento critico finalizzato alla messa in guardia contro l’irrigidimento identitario e la chiusura nei confronti di tutto ciò che non rientra nei modi socialmente accettabili dell’essere gay.
Si tratta di una funzione preziosa.

Sempre più spesso, tuttavia, Queer sembra indicare il nome di una setta minoritaria, i cui adepti, spesso in preda a un delirio narcisistico, parlano un linguaggio inaccessibile ai più, e i cui autoproclamatisi sacerdoti si ritengono i soli autentici interpreti dello spirito del Pride e rivendicano il diritto di dire agli altri quale è il modo giusto di essere gay o di interagire con chi gay non è.
L’ennesimo fondamentalismo identitario, insomma.

Forse è il caso di ricominciare a dirsi gay, lesbiche, trans, bisessuali, intersessuali: se non altro per dare il senso della pluralità e della diversità che ci contraddistingue.

Sono d’accordo con la sua opinione.
Anch’io ritengo che, al di là delle loro buone intenzioni, alla prova dei fatti, alcune forme della pratica Queer rivelino una serie di effetti negativi e controproducenti.

Le critiche alla pratiche Queer sono di diverso tipo e spessore.

  • Innanzitutto, c’è chi sottolinea come la terminologia Queer risulti infine controversa

Alcuni la trovano paradossale; altri difficilmente utilizzabile o, per lo meno, praticamente impossibile da comunicare all’esterno.
Condivido questa preoccupazione, anche se per un motivo in parte diverso: mi inquieta infatti il lievitare continuo del ‘nostro acronimo’, anche perché io non vedo una fine a questa sorta di ‘rincorsa’, che finisce per assumere toni paradossali. (… arriveremo ad avere più lettere che persone?)
‘LGBT’ è probabilmente insufficiente, ma ‘LGBTQIAAPK*+’ oltrepassa certamente il ridicolo. Se il problema c’è, allora altre soluzioni vanno trovate.

  • Vi è poi la questione del confronto con l’evidenza: nonostante la sua posizione a tratti egemonica in certi ambienti, la portata e la diffusione del pensiero Queer a livello sociale rimangano alquanto circoscritte

Quando, in questi anni, le persone LGBTQI sono state interpellate in merito al modo in cui si percepiscono e/o preferiscono rappresentarsi, sono molto poche quelle che [finora] hanno scelto di farlo utilizzando termini o concetti del panorama Queer.
Questo non significa granché, a dire il vero, visto che siamo e rimaniamo tutti uguali e tutti diversi; l’eterogeneità non ci deve né spaventare, né mettere a disagio.
Rimane però il sospetto che tutto questo sistema sia soltanto astratto e che fatichi a trovare [finora] conferma nella concretezza;
che dà rilievo ad alcuni soggetti e sottace altri; che il mondo che descrive non è quello reale.

  • Altri lamentano il mancato o comunque carente interesse da parte del Queer a trattare in modo equilibrato le emozioni, i sentimenti e le relazionali

Uno dei capisaldi del pensiero Queer è la rivoluzione sessuale: è dalla liberazione e re-invenzione del sesso che può sorgere, secondo i queeristi, un nuovo sistema migliore per tutti; il sesso è il motore del cambiamento volto al riscatto dal patriarcato e dalle sue istituzioni, gabbie e tentazioni (… analogamente alla classe operaia rispetto al sistema capitalistico?).
Io non credo che questa sia necessariamente una battaglia di retroguardia, come invece pensano altri – secondo cui la rivoluzione da vincere oggi non è quella sessuale bensì degli affetti.

Sì, la rivoluzione sessuale ha un po’ il vetero-sapore degli anni ’70 del secolo scorso; secondo me, il problema è però un altro: la sottovalutazione di tutto ciò che è sentimento e soprattutto relazione – rispetto ai quali il pensiero Queer ha spesso sfiducia, circospezione e sospetto.
La famiglia è nocività patriarcale” è uno slogan che ho letto sui muri.
La relazione di coppia è da rifiutare quindi…
… perché nelle relazioni fanno sempre capolino ed alberga indefesso il patriarcato. 
… perché sentimenti e relazioni sono molto più a rischio del sesso in fatto di contagio del sistema di dominio perpetrato dal ‘maschio lavoratore bianco, di classe media, autoctono’.
… perché sentimenti e relazioni sono sempre e di per sé funzionali al potere costituito.

Una prudenza legittima, forse.
Che però spesso sviluppa un vero e proprio pregiudizio anti-familiare, come racconta Dario Accolla, che nel recente post “Perché c’è bisogno di coppie e famiglie arcobaleno: Anche a Masterchef” scrive della necessità di “riappropriarci del termine ‘Famiglia’“:

Esiste dunque una ‘necessità di esistenza’, opposta alla ‘necessità di negazione’, che riguarda la coppia formata da persone dello stesso sesso. […]
Proprio per depotenziarne il portato negativo che certo pensiero cattolico integralista ha immesso in quel termine […]

‘Famiglia’ è quel progetto, liberamente concepito, di unione tra persone che scelgono (avete presente l’autodeterminazione?) di vivere una data esperienza.
E scelgono, altresì, di prendere parola, raccontandola […] introducendovi un significato nuovo.

  • Un’altra critica si concentra sul rischio di frammentare il senso di appartenenza e di identità collettiva

L’impressione è che la nostra comunità sia una galassia in esplosione, con confini sempre più grandi e con spazi interni sempre più rarefatti.
Da un lato, sempre più persone si riconoscono nel ‘nostro acronimo’; dall’altro lato, esse sembrano sempre più distanti tra di loro.
Come salvaguardare i legàmi LGBTQI, il senso e l’ideale di una comunione solidale, sociale, politica?
Cosa ci può tenere uniti, in un contesto che riconosce più importanza all’individualità e alla distinzione piuttosto che alla comunanza e alla somiglianza?
Come preservare il bene comune della comunità, in un’epoca in cui l’identità è vissuta in modo molto meno ‘granitico’, ma viene sempre più pensata come in cambiamento, duttile, morbida, liberamente scelta, componibile, eventualmente interscambiabile?

Nuovi interrogativi che richiedono nuove risposte.
Il pensiero Queer è parte integrante di questo scenario: per un verso, ne è espressione; per l’altro verso, contribuisce a sua volta ad alimentarlo.

Secondo alcuni critici, stiamo assistendo ad una riduzione delle identità sociali all’individuale, ovvero all’opzionale, al discrezionale.
Questo è ciò che scrive, ad esempio, Daniela Danna (citata di recente da La Verità):  

[Un tempo la] definizione di femminile di genere era sociale e politica, riguardando i rapporti tra i poteri tra i due sessi.

Ora viene invece sostituita con una definizione individualizzata, che banalizza le forze sociali all’opera riducendo il genere all’espressione di genere, cioè alla scelta individuale se apparire o meno maschili, più o meno femminili.

Non sono sempre d’accordo con questa sociologa e ho in orrore il giornale che la menziona.
Ciononostante, credo che la sua proposta interpretativa sia un pungolo interessante e suggestivo, su cui è opportuno riflettere, anche per trovare la giusta collocazione al valore della c.d. ‘libera scelta’.

  • Infine, secondo alcuni vi è il rischio di creare nuove fratture e nuove discriminazioni all’interno della comunità LGBTQI

Di considerare, cioè, alcune soggettività (LGBTQI) un danno per le altre (LGBTQI).
La legittima ricerca della felicità di alcuni una condanna per gli altri.
La consapevole libertà di alcuni un’oppressione per gli altri.
Alcuni più valevoli di altri. 

Tale giudizio si presenta anche in un’altra forma: la convinzione che alcune identità abbiamo una sorta di primato e di superiorità in vista del raggiungimento del mondo ideale.
Rappresentano un ‘
fulgido esempio della rivoluzione’.
Il ‘male’ (in termini simbolici) di alcuni (cioè i ‘contro-rivoluzionari’, secondo l’insindacabile giudizio di altri), adesso, è quindi giusto e necessario perché è la via per il ‘bene’ di tutti, in futuro. 

Questa posizione, che qui ho descritto con toni ovviamente amplificati, è molto preoccupante, perché contiene il germe dell’intolleranza del dogmatismo assoluto.
Cozza violentemente contro una mia convinzione di fondo: che ogni soggettività ha in sé e di per sé la pienezza del valore e della dignità.

Tale malcelato principio di supremazia è visibile in alcune forme del pensiero Queer.
E appare tra le righe anche del seguente testo (estratto), tratto dal recente numero 33 dell’almanacco “La Falla” del Centro LGBTI della mia città, che, al fine di perseguire l’importante obiettivo di analizzare criticamente la realtà italiana, il suo immaginario e le politiche del movimento LGBTQI, sceglie deliberatamente di utilizzare sostantivi e aggettivi dispregiativi nei confronti di alcune persone che fanno parte della nostra comunità:

Era il febbraio 2017, la legge Cirinnà era stata promulgata da meno di un anno.
In TV trasmissioni strappalacrime in cui coppie di donne e di uomini raccontavano le loro storie – romantiche, edificanti, finalmente coronate dall’unione civile. […]

[…] le bravi mogliettine lesbiche e i bravi maritini gay […]

“Gay e lesbiche per bene [… cioè] di destra contro i migranti omofobi e stupratori e contro le migranti prostitute.”

Si tratta di un mero espediente narrativo? Solamente di uno strumento retorico, utile al discorso?
Oppure di una normalizzazione dello svilimento? Della volgarizzazione della lesione di alcune dignità, ‘sacrificate su un qualche altare di qualche rivoluzione’?
La questione è aperta e le risposte non sono date una volta per tutte.

In ogni caso, secondo me, la critica ad alcune forme del pensiero Queer non va né accantonata né sminuita, perché è al centro del nostro essere, oggi.
Per farlo, avremo forse bisogno di nuovi concetti.
Ad esempio di “NonRevolutionary-Exclusionary Radical Queerism” (NRERQ), che si pone promettentemente sulla scia del più noto “Trans-Exclusionary Radical Feminism” (TERF).
Ragionare di NRERQ potrebbe significare riflettere sul potenziale di esclusione di fatto insito in alcune teorie e pratiche, ai danni soprattutto delle persone classificate come marginali o persino avversarie rispetto agli eroici protagonisti delle gloriose rivoluzioni ipotizzate (… scelgo anch’io, di utilizzare qui, un’aggettivazione insolente). 

5)
PER UNA RESPONSABILITA’ SOCIALE DI PRATICA

La ricerca teorica ed empirica proseguano in libertà per la strada che è loro propria.
E la nostra comunità LGBTQI si assuma le proprie responsabilità in termini di pratiche, considerando adeguatamente:

[…] le implicazioni di natura etica all’interno della [nostra] visione strategica [… e] gestendo efficacemente le problematiche d’impatto sociale ed etico al nostro interno e nelle nostre zone di attività.
(Estratto dalla definizione di ‘Responsabilità sociale d’impresa’ su Wikipedia)

Ci stanno riuscendo, seppur con fatica, alcune imprese.
Perché non potremmo farcela anche noi?

Partirei da due interrogativi, in riferimento alle pratiche Queer:

  • Questo modo di intendere le identità sessuali sta comportando un miglioramento o un peggioramento della salute e del benessere personale, psichico, sociale?
  • La pluralizzazione delle identità sessuali sta comportando un miglioramento o un peggioramento della nostra capacità di intervenire sulla società e di raggiungere i nostri obiettivi? E poi, siamo più forti o più deboli come gruppo, ad esempio di fronte all’emergere delle nuove destre?

(Nella foto, in alto: La LGBTQ+ Progressive Pride Flag. Disegnata da Daniel Quasar, presenta nuove strisce colorate dedicate alla comunità di colore, a quella transgender, ai malati di HIV e a chi è morto per portare avanti la battaglia dei diritti. Risale al 2018)

5 pensieri riguardo “Pratiche Queer: opportunità e problemi

  1. Luna Rudd propone una soluzione tridimensionale per descrivere l’identità sessuale.
    Il suo modello combina 3 variabili: tipo di attrazione (in 6 modalità), tipo di relazione (in 5 modalità), tipo di orientamento (in 7 modalità).
    210 le combinazioni possibili.
    Il cubo di Rubix ne ha 27.
    https://cake.avris.it/

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