
1) In difesa del genere, contro ogni oltranzismo
2) Una piccola bussola per orientarsi, in tre step
Da sempre, le persone LGBTQI ragionano e discutono di cosa significhi essere uomini ed essere donne.
La nostra condizione di minoranza ci rende particolarmente sensibili su questi temi, alla ricerca di nuovi modi di essere e di vivere, più aperti nei confronti di tutte le soggettività.
Da qualche tempo, però, sono preoccupato.
Osservo infatti come la narrazione dominante su sesso e genere stia diventando sempre più estremista all’interno della nostra comunità.
Sono le posizioni più massimaliste ad essere premiate, diventando così mainstream.
Il nostro pensiero collettivo sta diventando sempre meno plurale.
Con un certo auto-compiacimento, c’è chi dice che stiamo “navigando a vista sul disfacimento del concetto di genere e sugli orientamenti sessuali“.
Non mi sento rappresentato da questo trend, ma non è questo il punto (non ho problemi ad andare controcorrente).
Ciò che mi impensierisce, invece, è la riduzione della disponibilità all’auto-critica e della capacità di dialogo e di confronto che noto attorno a me.
Questo post fa parte della mia piccola resistenza contro il ‘Queer-stan‘ – cioè quel mondo metaforico dove, sulle questioni relative al sesso e al genere, regna indiscusso un unico modello: quello queer.
1)
IN DIFESA DEL GENERE, CONTRO OGNI OLTRANZISMO
Il genere è una componente fondamentale della nostra identità.
E’ un tassello prezioso della nostra vita.
Nel mio caso, il mio essere uomo [e omosessuale] mi accompagna e mi contiene da sempre; ci dialogo, ci litigo; talvolta mi offre un pezzo di direzione, uno significato.
Il genere e la sua dualità non sono morti e non sono nemmeno una gabbia del passato di cui è meglio liberarsi quanto prima.
Al contrario, il genere vive, traspare, si esprime continuamente – in forme sia già sperimentate, sia inedite.
In genere non è scritto una volta per tutte, magari su una pietra, o in una legge.
Non è un monolite di granito – lo stesso per tutti e sempre uguale a se stesso.
Il genere, invece, evolve, si adatta – come dimostrano i quadri dei grandi condottieri militari del XVII e XVIII secolo: la loro immagine di potenza e virilità è così diversa dalla nostra.
Da qualche anno, il genere è anche un campo di battaglie.
Un’arena di strategie, elucubrazioni, giochi, scaramucce, fantasmagorie, duelli e rese di conti da parte di una varietà di protagonisti: femminismi di opposto orientamento (tradizionale, vetero e bio, trans), teorici queer, imprenditori politici di destra e di sinistra, ministri, profeti, influencer e aspiranti tali.
Sta emergendo una classe di specialisti del genere.
Persone che scrivono, congetturano, classificano attorno al genere.
Che si definiscono e rafforzano reciprocamente sulla base delle loro opinioni in merito al genere.
Le loro riflessioni hanno un impatto importante ma ambivalente:
- Per un verso, indubitabilmente, migliorano la sensibilità e le conoscenze su questi temi
- Per l’altro verso, visto il loro orientamento allo scontro, al consenso e alla carriera, tendono però anche cristallizzare, estremizzare e polarizzare le posizioni, a scadere nel normativo (non più ‘ciò che è’, ma ‘ciò che deve essere’), a disinteressarsi e a svalutare chi non appartiene alla loro parte
Il rischio che corriamo è che questi specialisti del genere finiscano per diventare dei monopolisti, espropriandoci di una parte pregiata di noi stessi.
Già succede che alcuni di loro disegnano il nostro genere non per rappresentarci, bensì con lo scopo principale di confermare e sviluppare le loro ipotesi.
Parlano di genere, cioè parlano di noi, ma ciò che dicono ha sempre meno a che fare con la nostra soggettività quotidiana e sempre più con la loro nicchia.
2)
UNA PICCOLA BUSSOLA PER ORIENTARSI, IN TRE STEP
a)
Non mi fido delle teorie che, utilizzando una sola causa, pretendono di spiegare tutto: rischiano infatti di irrigidirsi, di considerare pericolosa e tossica ogni alternativa, di uscire dal mondo del confronto e della ‘scienza’, per entrare in quello – molto scivoloso – delle ‘verità’.
Sono invece convinto che la realtà è sempre più ricca delle nostre idee. Soprattutto delle idee che preferiamo, a cui siamo più affezionati.
b)
Quali conseguenze sui discorsi che riguardano il genere, il femminile e il maschile?
Due, in particolare:
- Il patriarcato è un fattore importante, certo, ma non è l’unico. Non può cioè essere l’unica ragione di tutto – soprattutto di tutto ciò che non va bene. Non possiamo smettere di proporre ulteriori ipotesi interpretative, di essere creativi, e di tentare di verificarle ~ Get over it
- La discriminazione di genere esiste, chiaro, ma non è di un solo colore: in alcuni campi colpisce le donne, in altri campi gli uomini. Non è sempre lo stesso genere a perdere e l’altro a guadagnare. E non solo: in un certo numero di settori, il genere non c’entra affatto, ma sono altre le variabili che fanno la differenza ~Questa eterogeneità fa parte del mondo; è ciò che lo rende imprevedibile, e – forse – così affascinante
c)
Per tutti questi motivi, io credo che sia fondamentale:
- Conservare uno sguardo gentile, analitico e critico
- Dare il giusto peso a tutte le evidenze – anche a quelle di minoranza, e/o che non confermano i nostri assunti di partenza
- Tenere vive disponibilità e capacità di guardare, comprendere, mettersi nei panni di tutti – compresa la ‘controparte’
E’ una scelta spesso percepita come sgradevole e orticante.
Non è una scelta facile.
Anche perché, talvolta, può ledere maestà.
Un pensiero riguardo “Generi e misfatti. Appunti per un approccio non fondamentalista al femminile e al maschile”