Oltre il lutto per il fallimento del ddl Zan: imparare per migliorare

  1. Lo shock e noi
  2. Tra orgoglio, consolazione e superbia
  3. Tre possibili sentieri di innovazione
    (Per una nuova e più efficace narrazione politica | Per un più proficuo rapporto con le tutte le soggettività (sì, comprese quella eterosessuale e quella maschile) | Per una migliore gestione della nostra diversità)

1)
LO SHOCK E NOI

Mercoledì 27 ottobre 2021 il Senato della Repubblica ha affossato il disegno di legge (ddl) Zan “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità“.

E’ stato una grande delusione per la comunità LGBTQI (Lesbica, Gay, Bisex, Trans, Queer, Intersex), di cui faccio parte, anche perché:

  • La proposta era già stata approvata dalla Camera, 11 mesi prima, dopo lunghe discussioni e alcune mediazioni
  • Le piazze fisiche e la nostra bolla sociale virtuale sembravano nettamente a favore del provvedimento
  • Pochi giorni prima, nelle città, le elezioni amministrative avevano dato l’impressione che la cosiddetta ‘area progressista’ fosse prevalente nel Paese

E’ stato uno shock.
Sono andati in frantumi, in un attimo, investimenti, aspettative, carriere.
Si sono anche incrinati i canali di rappresentanza e di leadership emersi in questi mesi e che si erano messi alla testa del movimento.

E’ stato un dramma inaspettato?
Non lo so.
Quando si decide di ‘andare alla conta dell’ultimo voto’, immagino che si metta sempre in conto un certo margine di rischio.
Non sono però in grado di valutare che impatto hanno avuto il voto segreto, i numeri dei vari gruppi a Palazzo Madama, i regolamenti e l’iter legislativo.
Un certo ruolo ha poi avuto il gioco delle parti – su questioni presenti, passate e future; reali o fantomatiche – di lealtà, scambio, tradimento o vendetta – a cui hanno preso parte i partiti e i piccoli e grandi esponenti della società, dello star system e, chiaramente, della comunità LGBTQI.

Di certo, è stato un trauma.
Che non abbiamo scelto e che abbiamo avuto bisogno di elaborare in fretta, utilizzando le risorse a nostra disposizione, per difenderci e poter ‘uscire da questa brutta vicenda’ con un adeguato livello di auto-stima, di amore per noi stessi.
Il voto del Senato è stato infatti da molti vissuto con umiliazione, come un un svilimento della nostra identità LGBTQI.

2)
TRA ORGOGLIO, CONSOLAZIONE E SUPERBIA

Come abbiamo reagito a quel trauma, a livello personale e collettivo?
Cos’è successo in questi giorni?

Non è passato molto tempo da quel brutto mercoledì.
E’ quindi forse presto per fare delle analisi definitive.
Eppure, alcune tendenze si sono già rese visibili con chiarezza.
Alcune mi preoccupano e ne voglio parlare con franchezza, al fine di imparare dai nostri errori e poter così migliorare in futuro.

Come atteso, queste prime settimane sono state molto intense: innumerevoli reazioni, prese di posizione, manifestazioni, accuse e difese.

A dire il vero, il ddl Zan è subito uscito dall’agenda dei principali mass-media.
Dopo un paio di giorni era già pressoché scomparso… un fuoco di paglia?

L’impatto del voto al Senato è stato invece più profondo nella comunità LGBTQI.
Che all’offesa ha voluto controbattere con la propria presenza ed il proprio valore: l’orgoglio di essere autenticamente noi stessi.
Una scelta importante, che distingue le due storie e i due destini (‘Il ddl Zan è morto, ma noi no‘), ripropone la forza della nostra massa critica (‘Siamo tantissim* e ci prendiamo le piazze‘; ‘Il nostro vento si trasformerà in un uragano‘) e ci riconnette alle glorie del nostro passato (‘E’ l’inizio della rivolta della nostra Stonewall‘).

Accanto ad essa, si è sviluppato una sorta di pensiero collettivo di consolazione, con dei tratti, secondo me, più problematici, e dei presupposti più fragili.
Un pensiero confortante volto alla cura delle ferite, con un significato più incoraggiante che analitico, più emotivo che razionale.
Mosso più dal dolore e dalla rabbia, che dalla strategia e dalla progettualità.
Efficace nel breve termine, ma privo di concrete prospettive di medio e lungo termine.
Ci siamo confortati dicendoci molte cose belle, sui social, come ad esempio:

  • E’ stata persa la battaglia, ma abbiamo vinto la guerra
  • Non potete fermare il progresso‘ (disponibile anche nelle seguenti versioni: ‘Siamo noi la storia‘; ‘Sanno che il loro tempo è passato. Il presente è già nostro‘; ‘La nostra risata vi seppellirà nella pattumiera della storia‘)
  • Il Parlamento è vittima di gruppi di potere ed è più indietro della società’ (aka ‘Siamo noi la società reale, siamo noi il futuro‘; ‘Il Parlamento è morto mentre le nostre piazze sono vive‘)
  • Ha vinto l’Italietta ridicola e senza educazione, brutale, scollata dalla società. Il cambiamento culturale nel Paese è invece già avvenuto. W la Libertà

Tutte dichiarazioni sincere e con un fondo di verità.
Ma che oggi, dopo che è passata l’onda emotiva della prima ora, vediamo con un certo disincanto.
Può far sorridere la loro enfasi, ben rappresentata dalla seguente citazione tratta dal magazine del gruppo Arcigay della mia città, che mira a capovolgere la percezione dominante:

A 5 giorni dalla votazione nell’aula del Senato che ha decretato la fine del ddl Zan, la sconfitta inizia a sapere di vittoria.
E’ ancora solo una sensazione, un’acquolina in bocca, ma non ci sono dubbi, lo sentiamo.

La Falla ~ pubblicazione mensile del Cassero LGBT center di Bologna (1 novembre 2021)

A pensarci bene, ciò che traspare da queste citazioni, che ho liberamente colto da Facebook, non è soltanto orgoglio e consolazione, bensì anche sicumera.
Queste citazioni ostentano un’enorme – eccessiva? – sicurezza di sé.
Danno per scontato che la propria posizione è in assoluto la più giusta, e l’unica possibile.
Da un lato, non ammettono critiche esterne; dall’altro lato non concedono alcun spazio all’auto-critica. Si fondano infatti sul granitico convincimento che sarebbe sbagliato, inutile e controproducente mettere a verifica la bontà dei contenuti della nostra proposta e/o del percorso che abbiamo seguito per farla conoscere e approvare.
Tutte queste citazioni si reggono su un’ipotesi: se il ddl Zan non è stato approvato, la responsabilità è esclusivamente degli altri.

Questa netta preclusione alla riflessione su di sé è un grave ostacolo all’apprendimento e al miglioramento, specie nella fase storica in cui ci troviamo ora: quella della ripartenza.
Se vogliamo che il Parlamento approvi una legge di questo tipo, dobbiamo probabilmente cambiare qualcosa – nei contenuti e/o nelle modalità.
Inganneremmo noi stessi se pensassimo che la soluzione del problema è un appuntamento soltanto posticipato, una mera questione di tempo; se pensassimo cioè che la prossima volta il Senato sicuramente approverà il ddl Zan tale e qual è adesso – quasi che gli avversari fossero destinati a scomparire o cambiare opinione.
Questa sarebbe una vacua scommessa ed una pericolosa illusione, visto che, al netto di colpi di scena, una solida maggioranza pronta e disponibile ad approvare l’attuale ddl Zan non esiste né nell’attuale Parlamento, né tantomeno esisterà, verosimilmente, in quello venturo.
Secondo alcuni sondaggi, inoltre, anche fuori dai palazzi del potere il consenso dell’opinione pubblica su tale proposta di legge si è relativamente ridotto nelle ultime settimane.

Non sono un ingenuo cantore del masochismo, del piacere dello struggimento, della perenne auto-tortura.
Difenderci e ‘sollevare il morale delle nostre truppe’ è fondamentale; allo stesso tempo, io sono convinto che reagire al trauma sviluppando un pensiero unico sia però un ciclo vizioso, che finisce per non avere altro obiettivo che confermare e assolvere se stesso.
Al contrario, io credo che non dobbiamo mai perdere la capacità di guardare a noi stessi, di avere il coraggio di valutarci, di essere creativi e – quando necessario – anche di rivoluzionarci.
Perché, come ha scritto Einstein:

Non possiamo risolvere i problemi usando gli stessi schemi di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati.

Albert Einstein ~ fisico tedesco (1879-1955)

3)
TRE POSSIBILI SENTIERI DI INNOVAZIONE

Secondo me, tre sono i principali versanti di miglioramento:

  • Per una nuova e più efficace narrazione politica
  • Per un più proficuo rapporto con tutte le soggettività (comprese quella eterosessuale e quella maschile)
  • Per una migliore gestione della nostra diversità

a)
Per una nuova e più efficace narrazione politica

La prima area di miglioramento riguarda lo stile che utilizziamo per interpretare e influenzare ciò che avviene nell’arena politica.

La mia impressione è che, come comunità LGBTQI, non siamo sufficientemente autonomi rispetto alle tifoserie in campo.
Siamo invece assoggettati (colonizzati?) dalle loro agende, convenienze, concorrenze, simpatie e antipatie; talvolta purtroppo anche dai loro fantasmi e ossessioni.
Siamo così finiti nelle sabbie mobili: adottiamo le loro visioni polarizzate, in cui la colpa è tutta da una parte e il merito dall’altra, e la causa dei fenomeni è sempre e soltanto una.

Di più, vediamo con sospetto l’eterogeneità delle opinioni al nostro interno.
Questa tendenza al monopolio delle idee, che è apparentemente rassicurante, ci sta in realtà impoverendo – soprattutto perché la comunità LGBTQI è un soggetto sociale, e come tale deve sempre [cercare di] dialogare con tutti… specie se vuole che le sue buone proposte vengano infine approvate dei Parlamenti.

E’ importantissimo intervenire direttamente nel dibattito politico, fare pressione e mirare a volgere a nostro favore il corso degli eventi.
E’ a tal punto importante, che dobbiamo imparare a farlo meglio – non creando ulteriori ostacoli, senza partigianerie predefinite e cristallizzate, risolvendo pregiudizi.
Con uno scopo ultimo: non puntare a vincere le prossime elezioni, sperando nel futuro, bensì fare di tutto per evitare, nel presente, che le nostre buone proposte vengano bocciate soltanto perché sacrificate sull’altare delle ‘liti di bassa lega’ tra i partiti (nonché dei loro fan club groupie, ghost writer e cantori, leoni della tastiera, mastini e guardie del corpo… ).

b)
Per un più proficuo rapporto con le tutte le soggettività
(sì, comprese quella eterosessuale e quella maschile)

La seconda area di miglioramento concerne l’effettivo oggetto del ddl Zan.

In teoria, il cuore di questa proposta di legge non è di minoranza ma promette di rivolgersi a tutti e tutte: tutti e tutte noi, infatti, abbiamo [almeno] un sesso, un genere, un orientamento sessuale, un’identità di genere – sia maschi che femmine, etero e LGBTQI, cis e trans, quindi… in astratto, tutti coinvolti e pertanto uniti nella richiesta di tutela per ciò che siamo, al di là dell’appartenenza politica.

Ciononostante, il ddl Zan è stato subito percepito, etichettato e quindi trattato come un tentativo di piegare la situazione attuale a favore soltanto delle persone LGBTQI; di creare tutele specifiche, disparità, vantaggi a favore soltanto di alcuni, discriminando tutti gli altri.

A questo riguardo, sinceramente a poco è servita la contro-mossa di ampliare la platea dei beneficiari aggiungendo alla legge il contrasto all’abilismo: questo novità, che è un impegno sacrosanto, non ha però affatto ‘cambiato le carte in tavola’ in termini di consenso, ed è rimasto sostanzialmente una postilla esterna rispetto ad un dispositivo legislativo architettato fin dall’inizio per ben altre finalità.

Perché è fallita questa leva motivazionale potenzialmente universale?
La mia risposta è la seguente: molto probabilmente perché nemmeno lo stesso gruppo promotore del ddl ci ha mai creduto veramente.
Lo prova il fatto che tutta la campagna ufficiale di comunicazione sul ddl ha sempre declinato in termini riduttivi il ddl Zan, presentato come “proposta di legge contro l’omotransfobia e la misoginia” – cioè rivolta soltanto alle persone LGBTQI (vs. eterosessuali) e alle donne (vs. uomini).

A parole, Zan e i suoi hanno promosso e difeso a più riprese la valenza trasversale della proposta di legge (“Il ddl Zan protegge tutti, anche gli eterosessuali“; “Ma quale eterofobia, la legge Zan tutela anche le persone non Lgbt+“; “Tutelando il libero orientamento sessuale, il ddl difende anche l’eterosessualità“).
Ad aprile 2021, in una bella chiacchierata con il consigliere regionale della Toscana Iacopo Melio, l’on. Alessandro Zan ha anche fatto le seguenti dichiarazioni (dal minuto 24:50 in poi):

E’ bene dirlo: nel suo articolato, questa legge non scrive “misoginia”.
E’ invece una legge che contrasta tutti i crimini d’odio motivati da sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.
Ciò significa che se ci fosse un fenomeno di misandria, ovvero un uomo viene fatto oggetto di crimine d’odio perché è uomo, di sesso maschile [… sarebbe tutelato anche lui dalla nostra legge.]
Noi introduciamo i crimini d’odio “per orientamento sessuale”, non scriviamo “per orientamento omosessuale”. Se per assurdo ci fosse una discriminazione di una persona in quanto eterosessuale, questa discriminazione sarebbe punita dalla legge.
E’ evidente che ho usato un’iperbole, perché nessuno viene discriminato perché è eterosessuale. Non mi pare di aver mai visto che due persone di sesso opposto, un uomo e una donna, che si tengono per mano, per strada, vengano ‘caricati di botte’. Non è mai accaduto questo. Accade il contrario.
Proprio perché noi non possiamo introdurre delle definizioni che rischiano di creare delle discriminazioni che sarebbero anti-costituzionali [sic!], la legge è aperta e riguarda tutti [… per tutte le condizioni personali… ].

On. Alessandro Zan (video-intervista, aprile 2021)

Nei fatti, però, questo messaggio non è stato né concretizzato né recepito.

Io credo che questa malcelata contraddizione interna abbia creato varie tensioni, ad un certo punto è esplosa ed ha avuto un ruolo di rilievo sul percorso del ddl – saldando, ad esempio, vecchie alleanze con alcuni gruppi (quelli di impronta femminista, innanzitutto) ma allontanando, al contempo, il favore di altri.
Metà del cielo è stata cancellata.
Non si tratta, per altro, di un vizio in capo soltanto al gruppo promotore del ddl; anche vari suoi critici, infatti, ne sono stati condizionati (v. proposta di modifica n. 1.10 al Senato, che mira esplicitamente a rettificare l’oggetto del ddl: non più “discriminazioni fondate sul sesso e sul genere” bensì “misoginia“).

Il problema, come spesso accade sulle ‘questioni LGBTQI’, riguarda soprattutto la soggettività maschile.
Essa va inclusa o esclusa in una proposta di legge che dice di voler essere inclusiva?
Secondo un certo femminismo, gli uomini in quanto uomini non hanno diritto ad alcuna tutela perché non sono mai vittime di alcuna iniquità e sono soltanto degli oppressori.
Questa visione è condivisibile e legittima, oppure parziale e ingiusta?
Io sono convinto che la realtà sia molto più ampia e variegata di quanto raccontano alcune teorie (tossiche), e che le leggi, come riporta Zan, devono essere “aperte” ed in grado di andare oltre le “iperboli” – che non sono assolute ma rimangono ancorate, come tutte le costruzioni sociali, alle specificità della nostra esperienza e del nostro contesto).
Credo che tutte le identità abbiano pari valore e meritano di essere ascoltate e comprese – anche quella degli uomini trans (FtoM).

c)
Per una migliore gestione della nostra diversità

La terza area di miglioramento, infine, si riferisce all’usuale sfida della pluralità.

Durante la ‘battaglia’, ci siamo presentati con una sola voce: ‘Ecco a voi, Parlamento, LA posizione del movimento LGBTQI‘.
Ma la comunità LGBTQI italiana è davvero così?
Siamo proprio così omogenei, coerenti, perfettamente allineati tra base, attivismo e rappresentanza pubblica, tra centro e periferia, tra generazioni?

La risposta è semplice: no.
Ma è anche banale, visto che non potrebbe essere altrimenti.

Più interessante e promettente è chiedersi se l’eterogeneità è una forma di debolezza.
E, soprattutto, proprio in vista – spero – della proposta di un nuovo testo di legge sui temi del ddl Zan: che fare di questa varietà?
Va ascoltata? Celebrata? Condotta? Selezionata? Ridimensionata? Esplosa? Estromessa? Nascosta?
Fino a quando possiamo sottacere e non considerare il fatto che, proprio sul ddl Zan, al di là della compattezza mostrata delle piazze a suo favore, si è esplicitamente consumata una delle più dolorose fratture all’interno del tradizionale perimetro LGBTQI: quella tra due diverse forme di femminismo?

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