
La violenza contro le donne è un’enorme tragedia della nostra società.
Sono contento che finalmente se ne discuta e si cerchi di risolverla; contribuisco anch’io a farlo, per quanto è nelle mie possibilità.
La violenza contro le donne è anche un prodotto della narrazione collettiva.
Che, al contrario di altre narrazioni (v. il fallimento del ddl Zan sull’omotransfobia), è riuscita a diventare di successo.
Cosa possiamo imparare dalla sua esperienza?
- Racconta una storia facile
- Domina le fonti
- Usa i ‘giacimento di consenso‘
- Fai leva sull’identificazione
- Controlla la scadenza
Spoiler alert
Questo post non si occupa di distinguere tra vero e falso; al contrario, mira ad indagare, con uno stile critico, la dialettica tra la realtà e le sua rappresentazione.
IL MERCATO DEI PROBLEMI
Le morti per cancro da fumo, quelle da inquinamento, a causa degli incidenti stradali, le morti bianche sul lavoro… le mafie, la tratta degli esseri umani… il bullismo, la disoccupazione… il dissesto idrogeologico, l’evasione fiscale… le guerre…
Numerosi sono i gravi problemi che ci circondano; grandi i costi sociali e le sofferenze personali che comportano.
Solo alcuni, però, riescono a monopolizzare l’opinione pubblica, andando oltre le posizioni politiche – a diventare cioè una cosiddetta ‘emergenza nazionale’, vantaggiosa per tutte le parti.
Nel mercato dei problemi, forte è infatti la competizione per diventare l’urgenza delle urgenze.
Il cosiddetto ‘femminicidio’ ci è riuscito.
Nessun problema nasce come emergenza nazionale.
Questa etichetta viene invece attribuita grazie ad un particolare processo sociale.
Il fatto che un problema esista, in altre parole, è una condizione necessaria ma non sufficiente per avere una emergenza nazionale.
Soprattutto in una società iper-connessa e media-cratica come la nostra, è infatti fondamentale la convergenza di un sistema di altri fattori e condizioni in grado di processare del ‘materiale grezzo’ (il problema) al fine di trasformarlo nella notizia di testa di tutti i giornali – di tutti gli schieramenti – e nel primo punto all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri – indipendentemente dal suo colore (l’emergenza nazionale).
Questi fattori sono plurimi e di vario tipo: alcuni sono immutabili, altri rientrano invece nel raggio delle nostre azioni.
In questo post ne presento alcuni.
Ho selezionato quelli per me più importanti, dal mio personale – e criticabile – punto di vista.
1) RACCONTA UNA STORIA FACILE
La realtà
Il mondo è una galassia ampia, multiforme, instabile, ambigua.
Contiene responsabilità e corresponsabilità, coinvolgimenti diretti e indiretti, azioni e retroazioni, tendenze e controtendenze, catene di concause, aree grigie e caos, correlazioni illusorie, eventi intenzionali e fatti che le nostre teorie non sanno spiegare.
Il mondo, in definitiva, non è né immediatamente comprensibile, né facilmente comunicabile.
Costruire un consenso universale e bipartisan in un contesto così complesso e mutevole è un’impresa faticosa e dagli esiti incerti.
La strategia
In tale realtà, lo storytelling è pertanto un passaggio strategico.
Per candidarsi a diventare una emergenza nazionale, un problema deve essere chiaro, fisso, semplice, certo; instagrammabile, immediatamente trasmissibile, appetibile per i social media e i vari influencer (tra i quali, oggi, spiccano sulla scena gli avvocati divorzisti); con una sola causa e una sola conseguenza; con una sola vittima e un solo carnefice – entrambi presenti, mutualmente escludentesi, opposti, ben distinti tra di loro.
Per poter essere efficace, la storia attorno alla quale costruire consenso deve essere una e unica. Le posizioni alternative dividono e generano dubbi: vanno quindi silenziate, sminuite, espulse.
Talvolta, visto che ragioniamo anche per litanie, archetipi e miti, può essere utile richiamare, quale matrice globale del tutto, concetti e personaggi collettivi e astratti.
Il caso del femminicidio
Il femminicidio è riuscito a diventare una emergenza nazionale anche perché si fonda su uno slogan elementare e cristallizzato: “La violenza sulle donne è un problema degli uomini” (fonte: Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna).
Nonostante si dica che il problema è culturale e strutturale, che cioè coinvolge l’intera società, la soluzione proposta è basica ed è a disposizione di soltanto di una delle parti in causa: sono esclusivamente gli uomini che devono cambiare (‘I maschi vanno rieducati‘, come titola Il Corriere della Sera), quasi a dire che le donne ‘vanno già bene così’.
Il frequente ricorso al cosiddetto ‘patriarcato‘ (fonte: TG24 Sky) rafforza, infine, questa storia, dandole un’orizzonte che travalica il qui e l’ora.
2) DOMINA LE FONTI
La realtà
Le evidenze sono una componente essenziale della narrazione contemporanea volta al consenso: per essere prese in considerazione, apprezzate e condivise, le opinioni devono difatti essere sostenute da numeri, testimonianze dirette, cronache.
Nella società e nelle istituzioni, le statistiche sono tasselli imprescindibili.
La strategia
In tale realtà, la misura dei fenomeni è pertanto un passaggio strategico.
Per candidarsi a diventare una emergenza nazionale, un problema deve essere univocamente definitivo; specificato nel dettaglio e concretizzati in una serie di indicatori; teoricamente rendicontabile ed effettivamente rendicontato.
Questa sfida è particolarmente sensibile per quanto riguarda le statistiche sulla giustizia: quelle di area penale sono infatti molto più attendibili e rappresentative di quelle di area civile, per effetto dell’ordinamento giuridico vigente. In Italia soltanto l’azione penale è obbligatoria (art. 112 della Costituzione); le altre dipendono invece da una serie di istituti – la denuncia, la querela, l’istanza, l’esposto – che sono fortemente connessi al contesto sociale e alla percezione soggettiva. Se per un verso gli omicidi sono correttamente numerati, per l’altro verso le contese tra partner spesso rimangono invisibili (v. i concetti di under-reporting e under-recording).
Va inoltre messo in conto che la bontà di un intervento nel campo della giustizia non può essere misurata soltanto in termini di statistiche: essere tendono infatti ad aumentare per effetto dell’intervento stesso, nelle sue prime fasi, visto che le persone vengono convinte a riportare casi altrimenti rimasti sconosciuti – senza quella vergogna, quel senso di colpa interiorizzato, quella sensazione che ‘è normale’ essere vessati e ‘non si può far nulla’, che tanto male hanno fatto e continuano a fare al nostro Paese.
Il caso del femminicidio
Il femminicidio è riuscito a diventare una emergenza nazionale anche perché si fonda su un proficuo sistema che conta e dà notizia dei casi di violenza contro le donne. All’inizio, questo sistema era dal basso; in seguito, è stato inserito ufficialmente all’interno delle istituzioni.
Le organizzazioni e i professionisti che operano e hanno interessi in questo campo hanno un ruolo-chiave e spesso esclusivo in tale processo. Fanno da sensori in un quadro altrimenti invisibile e frammentato; alimentano i mass-media con dati e informazioni attese e spendibili; fanno pressione nei confronti delle istituzioni; rappresentano la parte lesa (soprattutto nei casi più drammatici, quando la vittima non è in grado di parlare di sé).
Poco importa se, sullo specifico oggetto del calcolo, rimangono perplessità e divergenze (v. l’articolo del Corriere della Sera del 5 dicembre 2023: “Numero femminicidi 2023: perché circolano dati così diversi?“): una volta avviato, il movimento si auto-sostiene al di là delle tecnicalità.
3) USA I ‘GIACIMENTI DI CONSENSO‘
La realtà
E’ molto difficile – forse persino impossibile – produrre una emergenza nazionale partendo dalle fondamenta: richiederebbe immani tempi e energie che probabilmente nessuno ha; inoltre, rischierebbe di arenarsi o di seguire percorsi imprevedibili e non desiderati.
La strategia
In tale realtà, allearsi è quindi un passaggio strategico: è meglio inter-scambiare consenso con aree sociali già esistenti ed esterne a sé invece che costruirlo da zero in completa autonomia.
Visto che le appartenenze possono essere multiple e gli ideali collegabili tra di loro, è più conveniente convergere su piattaforme condivise, entrare in piani altrui, meticciare il proprio lessico al fine di includere anche gli obiettivi specifici degli altri.
Si tratta di un’opera di mediazione da curare con attenzione: gli altri hanno storie e caratteristiche distintive, sono sensibili e mobilitati su problemi diversi, vanno riconosciuti nella loro distinzione; allo stesso tempo, però, non bisogna rischiare di svilire la propria base con dispositivi di mera vacua diplomazia.
Il caso del femminicidio
Il femminicidio è riuscito a diventare una emergenza nazionale anche perché ha ingaggiato una pluralità di soggettività – comprese quelle LGBTQI.
Risulta vincente l’idea per cui il cosiddetto patriarcato svantaggia tutti – compresi gli uomini; la lotta contro la violenza dell’uomo sulla donna è ritenuta funzionale anche ad altre agende.
Aiuta a creare ponti l’uso accorto di una certa terminologia e di specifici riferimenti.
Del resto, rimangono tensioni interne da parte di alcune frange: ogni tanto vengono infatti riproposti slogan quali “La guerra contro il patriarcato senza lotta di classe contro il capitalismo è pink-washing” (fonte: Instagram), oppure “Nessuna delega allo Stato. Facciamo tutte autodifesa” (scritta sui muri a Bologna) e “Dalla violenza mi difendono le sorelle, non la polizia” (a Trento); altre volte, riemergono le nette differenze tra trans-femminismo e femminismo della differenza.
Conservare unito e in equilibrio un ventaglio così ampio di sostenitori richiede una specifica cura. Avere un unico nemico in comune è un significativo fattore di aggregazione, ma non garantisce il perfetto allineamento, soprattutto nel momento delle decisioni operative. La disaggregazione è una minaccia sempre presente.
4) FAI LEVA SULL’IDENTIFICAZIONE
La realtà
Finché un problema viene percepito come proprio di una minoranza, specie se afferente a una sola parte politica, non potrà mai diventare una emergenza nazionale.
Vi potranno essere espressioni di solidarietà e iniziative mirate di sostegno, ma il tutto rimarrà confinato in un compartimento stagno – soprattutto se trova spazio l’idea per cui, in fondo, la questione non si porrebbe se tale minoranza la smettesse di comportarsi da minoranza e si integrasse pienamente nel corpo sociale e adottasse le comuni regole del buon senso e dell’auto-tutela.
La strategia
In tale realtà, far sentire tutti coinvolti a livello personale è quindi un passaggio strategico, anche perché attiva le parti non-razionali del ragionamento e del comportamento.
L’investimento sull’identificazione è fondamentale e può assumere diverse forme: può puntare al pericolo condiviso (‘Può capitare a tutti‘), al danno per tutti (‘Nessuno è sicuro e libero‘), alla colpa comune (‘Noi maschi siamo tutti colpevoli‘).
A tal fine, il linguaggio è un punto cardinale: deve essere emotivo, partecipe, intimamente vicino alle vite di ciascuno. Le vittime del problema devono essere percepite come uguali a sé, o per lo mano a un proprio familiare, da parte di chi ascolta o legge una notizia (‘Uno di noi‘).
Il ‘calore’ del linguaggio permette tra l’altro di risolvere o per lo meno schivare i corto-circuiti delle statistiche. Le evidenze sono infatti un coltello a doppia lama: quando vengono prese debitamente in considerazione, non possono che restituire un unico esito: benché un certo problema sia emergenza nazionale, esso riguarda in ogni caso una ridottissima quota della popolazione complessiva – 106 vittime di femminicidio nel 2022 (fonte: ISTAT) sono sicuramente tante e troppe, ma riguardano direttamente lo 0,0004% delle italiane (ovvero 1 donna su 285mila).
Il caso del femminicidio
Il femminicidio è riuscito a diventare una emergenza nazionale anche perché ha saputo sapientemente mescolare diversi tipi di narrazione: sociale, sentimentale, statistica.
L’identificazione che ha conseguito è molto elevata, anche se talvolta ha dovuto pagare il costo di un certo scadimento nel gossip.
Gli fa gioco la tendenza in atto a considerare violenza di genere e femminicidio ogni caso di violenza contro una donna.
Di fatto, ha conseguito tale condizione, a sé favorevole, mettendo al bando narrazioni e raccolte di statistiche su ogni altro tipo di violenza tra intimi o di genere: quello da donna a uomo, da uomo a uomo, da donna a donna. Ha ristretto notevolmente il cono di visione.
5) CONTROLLA LA SCADENZA
La realtà
Le emergenze nazionali non durano per sempre.
Perché l’attenzione finisce per saturare (‘Di femminicidi si occupano oramai soltanto le pagine centrali dei giornali‘); perché, nel frattempo, altri problemi aspirano a diventare ‘Il problema di tutti’; perché l‘opinione pubblica non riesce a gestire più di una emergenza nazionale alla volta.
La strategia
In tale realtà, riuscire a massimizzare il conseguimento dei propri obiettivi in un tempo limitato è quindi un passaggio strategico.
Per sopravvivere, bisogna sempre ricordare la propria scadenza.
Il caso del femminicidio
Il femminicidio è riuscito a diventare una emergenza nazionale anche perché ha saputo ottimizzazione la propria performance considerando il limitato tempo a disposizione.
E’ intervenuto innanzitutto sul fronte del linguaggio – modificandone lo stile o caricandone i toni quando l’audience stava calando.
Più efficacemente, ha approfittato della fase di massima emergenza per consolidare e istituzionalizzare – tramite l’approvazione di norme giuridiche, la nomina di cariche e ruoli, lo stanziamento di finanziamenti, l’avvio di sistemi informativi ufficiali – i punti centrali della propria azione, garantendone così la continuità nel medio-lungo termine, al di là delle inevitabili oscillazioni delle ondate del consenso.
