1) Vivere a lungo
2) Le questioni in gioco
3) Il ‘grande assente’
– Perchè ‘non esistono’
– Perché sono ‘diversi da noi’
– Perché ‘non ci incrociamo’
4) Uscire dall’angolo
1)
VIVERE A LUNGO
Le persone LGBTQI (Lesbiche, Gay, Bisex, Trans, Queer, Intersex) non svaniscono ‘per magia’ al comparire delle prime rughe.
Così come capita agli eterosessuali, anche noi siamo destinati ad invecchiare.
E’ il ciclo della vita – più o meno seccante, ma tuttavia necessario, come nota Charles Augustin De Sainte Beuve:
“Invecchiare è fastidioso, ma è l’unico modo che abbiamo per vivere a lungo.”
Succede a tutti, e succederà sempre di più visto l’aumento della longevità attorno a noi.
Con una differenza:
- Se, da un lato, in generale, le nostre società hanno già cominciato ad attrezzarsi su questo fronte, pur con varie difficoltà
- Dall’altro lato, invece, nello specifico, la comunità LGBTI pare in netto ritardo: al nostro interno, infatti, l’invecchiamento è ancora un tema nuovo, non discusso, poco noto
2)
LE QUESTIONI IN GIOCO
Questa inconsapevolezza ha varie cause e pone una serie di sfide di fondamentale importanza alla nostra vita, con particolare riguardo alle relazioni e alle reti di aiuto.
In un bell’articolo pubblicato sull’Internazionale nel 2014 (“Una passeggiata su Marte“), Claudio Rossi Marcelli ne ha descritte alcune (i grassetti sono miei):
“<<Penso che il problema delle persone gay è che non sappiamo come invecchiare>> scrive Jon Berstein. […] Tra le principali ragioni che cita c’è l’epidemia di AIDS, che ha decimato una generazione di uomini omosessuali lasciando i giovani senza nessun modello di riferimento. […]
Oltre all’AIDS e al narcisismo cronico, io credo che a rendere più difficile la vecchiaia delle persone omosessuali sia anche la mancata possibilità di costruirsi una famiglia.
Perché il principale strumento di valorizzazione degli anziani sono i loro figli, i loro nipoti. La vecchiaia ha smesso di essere un valore da un pezzo e oramai nessuno apprezza i vecchi in quanto tali. Gli vogliamo bene soprattutto in quanto genitori, nonni, zii. L’unico vero modo in cui la società si prende cura degli anziani è attraverso il sostegno familiare. Se viene meno quello, la vecchiaia diventa molto più dura. E solitaria.“
Secondo Rossi Marcelli, il quadro è a tinte fosche per i gay.
Soprattutto per i gay che non hanno avuto figli.
Che, per altro, sono la stragrande maggioranza dei gay.
E’ difficile dire se ed in che misura, in Italia, questa immagine corrisponda alla realtà, oppure se si tratti del risultato di un’analisi parziale, di una semplificazione, forse persino di uno stereotipo.
Il punto è che non lo sappiamo.
Possiamo sviluppare delle ipotesi ragionevoli, fondate sulla nostra percezione e su come vediamo cambiare i nostri amici e gli amici dei nostri amici, ma mancano le evidenze oggettive.
- E’ vero, ad esempio, che gli anziani LGBTQI soffrono di solitudine involontaria?
- Tutti quanti nella stessa misura? Uomini e donne, ricchi e poveri, in città e nei piccoli centri con la stessa intensità?
- Fino a che punto questa è una specificità LGBTQI, oppure si tratta di tratto condiviso da tutti gli anziani?
- Come è possibile, non potendo contare sui propri figli, prevenire, gestire o per lo meno mitigare questa condizione sfavorevole? E poi, il modo in cui si vive da giovani e adulti influisce su questo rischio potenziale da anziani?
Non abbiamo una risposta univoca a questi interrogativi.
Non possiamo sapere con certezza se essere sia anziano che LGBTI comporti soltanto degli svantaggi, nel confronto con i pari, oppure se vi siano anche degli elementi di valore aggiunto.
> Aggiornamento di maggio 2020:
E’ stata realizzata una ricerca sociale specifica su questi temi, con vari risultati di interesse
3)
IL ‘GRANDE ASSENTE’
Sono convinto che la terza e quarta età delle persone LGBTI sarà una delle scommesse principali del nostro prossimo futuro.
Una prova importante per la nostra comunità.
Già ora lo è, secondo alcuni osservatori.
Tutto converge verso questo scenario.
Se vogliamo continuare ad essere soddisfatti di noi stessi, dovremo guardarci con occhi diversi, verificarci, probabilmente anche cambiare il nostro modo di vivere e di stare assieme.
Eppure, al giorno d’oggi, gli anziani LGBQTI sono una presenza più teorica che reale.
Non partecipano agli eventi vitali della nostra comunità, come il Pride – o, per lo meno, così sembra.
E’ difficile ideare e realizzare delle buone pratiche di inclusione quando il target è assente, o lontano, o disinteressato.
Quali i motivi di questa invisibilità?
Dopo aver analizzato il dibattito su questi temi, enfatizzando i toni ed usando così lo strumento della provocazione, propongo tre diversi tipi di risposta:
- Perché gli anziani LGBTQI ‘non esistono’
- Perché sono ‘diversi da noi’
- Perché ‘non ci incrociamo’
a) Perchè ‘non esistono’
Questa ipotesi si rifà alla nostra storia: La nostra comunità si è costituita relativamente di recente >> Saremmo quindi ancora tutti giovani e adulti, non sarebbero ancora passati abbastanza anni per diventare vecchi.
– Anche se sembra plausibile, secondo me questa risposta è sbagliata. Basti pensare al primo Pride italiano, che venne celebrato a Pisa nel 1979. I 25enni che parteciparono a quell’evento adesso hanno 65 anni. E’ vero che coinvolse una minoranza della minoranza, ma non possiamo dire che non esiste.
b) Perché sono ‘diversi da noi’
Questa ipotesi riprende la dimensione storica e la elabora dal punto di vista sociale, culturale, simbolico politico: Sì, ci sono sicuramente persone anziane con comportamenti sessuali di minoranza, ma queste non si identificherebbero come appartenenti alla comunità LGBTQI >> La cosiddetta modernizzazione avrebbe creato un solco invalicabile al nostro interno in termini di stile, di obiettivi e di priorità di vita. Racconta, a questo riguardo, un rispondente nell’ambito della ricerca sociale “Invecchiamento LGBT e reti di aiuto in Italia“:
“Va rispettato il fatto che, per molti anziani, l’identità gay, come la intendiamo oggi, non fa parte del proprio vissuto e spesso non comprendono alcune delle battaglie per l’uguaglianza portate avanti oggi.”
– Secondo me questa risposta è di grande interesse, sebbene rischi di cristallizzare le differenze – anche di tipo generazionale – all’interno della nostra comunità. Se ben compresa e governata, la diversità è infatti un valore per tutti. Essere diversi tra di noi è uno stato di fatto e non deve influire sulla partecipazione e sulla visibilità; se lo fa, non è più diversità, bensì discriminazione.
c) Perché ‘non ci incrociamo’
Questa opinione richiama l’attenzione su come è organizzata la nostra comunità: La nostra offerta (sociale, culturale, ricreativa, politica, comunicativa) sarebbe pensata soltanto per una parte di noi – quella di maggioranza >> Di conseguenza, non penseremmo di essere rilevanti gli uni per gli altri; e faremmo anche molta fatica ad incontrarci, visto che non condivideremmo linguaggi, canali, mercati, orari, preferenze.
– Anche questa risposta, secondo me, merita di essere ulteriormente indagata. Le questioni che pone sono vitali sia in termini di inclusione che di sostenibilità.
4)
USCIRE DALL’ANGOLO
Se vogliamo immaginare un futuro per noi tutti, è necessario sbloccare la situazione di stallo e difficoltà in cui attualmente ci troviamo.
Aprire spazi di visibilità e opportunità di partecipazione, da un lato, e, dall’altro, mettersi in ascolto, raccogliere informazioni, studiare.
Non siamo all’anno zero della riflessione su questi temi.
Ho imparato alcune lezioni su come impostare al meglio la ricerca sociale sugli anziani LGBTQI, ad esempio:
- Non avere timore di porre la questione dell’invecchiamento: Il tabù, se mai c’è stato, è più negli occhi di chi guarda rispetto di chi vive in prima persona questa fase della vita
- Bilanciare gli aspetti positivi e quelli negativi: Non dare per scontato che la vita delle persone LGBTQI di terza e quarta età sia vuota, priva di significato, miserevole, lamentosa, soltanto bisognosa di cure – o, per lo meno, sempre peggiore di quella delle altre persone LGBTQI. E’ strategico andare oltre la tradizione ‘passivizzante’ e recriminatoria di buona parte del nostro movimento, che pare avere due pesi e due misure nei confronti delle situazioni di agio e di disagio. Sia le buone pratiche (‘cose che funzionano bene’) che i cattivi esempi (‘problemi irrisolti’), invece, devono ricevere pari attenzione; sono entrambi interessanti e importanti. Non dimenticare, inoltre, che l’assenza degli anziani dalla nostra comunità rappresenta [anche] [soprattutto] una grande e ingiustificabile perdita di risorse: altrove, nella società, molto spesso i nonni reggono le famiglie e i pensionati le associazioni
- Occuparsi delle reti di solidarietà: Come ci si aiuta e ci si potrebbe aiutare alla luce del fatto che, per la maggior parte di noi, la ‘soluzione eterosessuale’ (i figli che si occupano dei genitori) non è praticabile? Investire sulle alternative possibili ai legami ‘di sangue’ rigidamente intesi, immaginare ruoli e ambiti per i ‘legami di scelta’
- Raccogliere la sfida delle ‘case di riposo gay’, che pare, nel 2018, l’unico ritornello in grado di bucare il silenzio e far comparire sui mass-media le problematiche dell’invecchiamento LGBTQI: Dare innanzitutto ascolto alle preoccupazioni sul proprio futuro da parte delle persone LGBTQI; allo stesso tempo, rilanciare la questione, al di là dei pregiudizi, per aprire gli occhi e comprendere la realtà in senso più lato
- Ampliare lo sguardo alle persone LGBTQI che si occupano di anziani (di ogni identità sessuale): Perché l’anzianità non riguarda soltanto gli anziani, ma coinvolge un gruppo più ampio di persone
- Confrontare per verificare eventuali specificità: Non dare per scontato né che le persone LGBTQI siano tutte uguali tra di loro, né che le persone LGBTQI anziane siano diverse rispetto sia alle persone LGBTQI giovani ed adulte, sia agli anziani eterosessuali
- Ragionare di ‘buon invecchiare LGBTQI’: Visto che si diventa ciò che si è, e che quindi siamo tutti almeno in parte responsabili del nostro destino, promuovere la riflessione sull’impatto di lungo periodo delle proprie scelte di vita. Facilitare, inoltre, il dialogo intergenerazionale tra persone LGBTQI ed il passaggio di informazioni e modelli di riferimento tra persone di diversa età all’interno della nostra comunità
perché le donne anziane sono molto piû attive e organizzate di noi uomini? SVEGLIAMOCI!
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Hahaha non la vedo come una competizione, Paolo. Ma sembra vero: le donne hanno maggiori risorse di attivazione ed organizzazione. Dovremmo imparare da loro, se possibile…
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