Prese di posizione. 17 brevi tesi sulle questioni LGBTQI


Mi espongo.
Ecco come mi posiziono, in pillole, rispetto ai principali interrogativi che affrontano le persone LGBTQI oggi in Italia:
Ti senti parte della comunità LGBTQI? | Partecipi alla vita della comunità LGBTQI? | Nella comunità LGBTQI ci sono problemi di misoginia? | Nella comunità LGBTQI ci sono problemi di misandria? | Società, mass-media e comunità LGBTQI: A che punto siamo? | Sei Queer? | Queer include tutte le identità LGBTQI? | Favorevole al Matrimonio egualitario? | Favorevole alle Unioni civili? | Favorevole alla GPA ? | Che ne pensi del Coming out? | Favorevole all’Outing? | Sei femminista? | ‘Teoria del Gender’: Che ne pensi? | ‘Is Sex-work Work’? | PREP: Che ne pensi? | Malattia tra diagnosi e giudizio

Tre note preliminari.

1)
Alcune mie prese di posizione sono certezze; altre opinioni; altre prime impressioni; altre silenzi.
Non sono verità assolute.
Sono posizioni relative, che oggi condivido. Do per scontato che alcune evolveranno sulla base di dati, riflessioni, incontri, esperienze.
So che mi influenzano, ma mi impegno affinché non diventino dei pregiudizi.

2)
Presento le mie posizioni non per attirare l’attenzione su di me, ma per trasparenza nei confronti di chi legge questo blog.
Forse, sapere come la penso, permetterà di interpretare, comprendere, criticare più in profondità le mie analisi e idee.

3)
Ho 52 anni, sono nato a Pordenone e ora abito a Bologna.
Vivo in una relazione di coppia con un uomo da più di 20 anni.
Ovviamente, ciò che penso e scrivo rispecchia anche la mia geografia e la mia storia.

  • Ti senti parte della comunità LGBTQI?

Sì, abbastanza.
La comunità LGBTQI è una galassia molto sfaccettata, con punti di vista anche molto diversi; contiene conflitti e contraddizioni.
Mi sento più vicino ad alcune parti e più lontano rispetto ad altre.
Anni fa, ero fermamente convinto che il mio destino e la mia felicità individuali fossero inestricabilmente intrecciati con quelli delle altre persone LGBTQI; ora lo credo ancora, ma meno intensamente.
Questo blog mi richiede tempo e fatica; è attualmente il mio contributo principale alla comunità LGBTQI.
Ne ho scritto anche qui:
> Fratture. 4 punti di contrasto nella comunità LGBTQI

  • Partecipi alla vita della comunità LGBTQI? 

Frequento poco, ma seguo molto; anni fa ero molto più coinvolto.
Sono molto interessato alle dinamiche della comunità LGBTQI, mi tengo aggiornato, ma partecipo poco agli eventi, specie di piazza.
Noto con preoccupazione che un numero crescente di manifestazioni LGBTQI ha un’agenda illiberale che mira esplicitamente a marginalizzare o persino negare alcune soggettività costitutive della nostra comunità.
Forse, c’entra pure l’età: molte manifestazioni sono di fatto disegnate per i più giovani e fruirne è sempre più fisicamente faticoso per me.
C’entrano, inoltre, gli impegni di famiglia e di lavoro, che mi lasciano molto meno tempo libero rispetto ad anni fa.
Ne ho scritto anche qui:
> Quando il Pride vuole espellere. La storia brutta del ‘Rivolta Pride’ (Bologna 2022)
> Anziani LGBTQI tra percezione e realtà
> Gli anni che passano. I risultati di una ricerca sull’invecchiamento LGBTQI
> Tra 10 anni. La comunità LGBTQI del prossimo futuro
> Il Pride, l’Onda e il certificato di sana e robusta costituzione

  • Nella comunità LGBTQI ci sono problemi di misoginia?

Sì, ma la situazione sta migliorando anche grazie ad una maggiore consapevolezza e alle molte azioni positive messe in campo in questi anni.
Sono ottimista al riguardo, la strategia è buona.

  • Nella comunità LGBTQI ci sono problemi di misandria?

Sì, e la situazione va peggiorando perché è predominante il rifiuto di occuparsene.
I ceti dominanti della comunità LGBTQI stanno perdendo il contatto con la sua componente maschile; faticano sempre più a guardare senza filtri a questo tipo di soggettività.
Sono pessimista al riguardo, anche perché la negazione genera mostri.
Ne ho scritto anche qui:
> Quale ruolo per l’identità maschile nella comunità LGBTQI?

  • Società, mass-media e comunità LGBTQI: A che punto siamo?

Credo che la situazione sia notevolmente migliorata rispetto a qualche anno fa:
– Le voci sono più nutrite;
– Le opinioni più variegate;
– I canali più fruibili;
– Le persone LGBTQI che ci ‘mettono la faccia’ più numerose e competenti.
E’ positiva la presenza di politici LGBTQI appartenenti vari schieramenti, finalmente anche in competizione tra di loro.
Certo, nel mondo virtuale corriamo gli stessi rischi delle altre minoranze discriminate.
Una nostra specificità è che la rappresentazione collettiva che offriamo di noi stessi rimane tuttora troppo impigliata nelle strettoie definite:
– Dalla narrazione vittimistica e recriminante, che tanto continuiamo ad amare (‘Oh, poveri noi!‘, ‘Oh, cattivi loro!“);
– Dell’apologia di una – non meglio precisata, fantasmagorica – ‘Favolosità‘;
– Dalla tradizionale dipendenza nei confronti di alcuni movimenti sociali e correnti partitiche.
Non riusciamo a raccontarci tutti e bene come invece meriteremmo.
Ne ho scritto anche qui:
> I gay ai tempi del web
> Siamo più interessanti quando abbiamo dei problemi?
> L’inclusione è possibile? E la tolleranza è sufficiente?

  • Sei Queer?

No, io sono gay.
Queer richiama due concetti che sento estranei rispetto alla mia vita: la critica al binarismo e la fluidità identitaria e sessuale.
Io, invece, sono a mio agio nel mio essere univocamente e costantemente maschio e omosessuale.
Ciò non significa esprimere alcun giudizio – né negativo né positivo – sulle altre soggettività.
Più semplicemente: è ciò che sono, su cui è radicato il mio orgoglio, per cui voglio essere riconosciuto e rispettato.
Ne ho scritto anche qui:
> Generi e misfatti. Appunti per un approccio non fondamentalista al femminile e al maschile
> La modernità gay

  • Queer include tutte le identità LGBTQI?

No.
Queer rende conto soltanto di alcune identità e di alcune generazioni.
Queer non è termine neutrale; usarlo implica aderire ad alcuni precisi manifesti.
Usarlo come termine-ombrello è un errore e una discriminazione.
Ne ho scritto anche qui:
> No al Queer-stan. Perché siamo più diversi (e interessanti) di così

  • Favorevole al Matrimonio egualitario?

Sì, assolutamente sì.
Tra l’altro, difendo il termine ‘matrimonio egualitario‘, al posto di ‘matrimonio gay‘, perché non è un istituto a sé, un canale separato, ma prevede invece pari diritti e pari doveri con tutti – nulla di diverso, nulla più e nulla di meno.

  • Favorevole alle Unioni civili?

Ho lottato per questa legge e sono felice che ci sia.
Non è perfetta come speravo.
Non considero però l’unione civile una discriminazione in sé: la legge Cirinnà (approvata nel 2016 grazie al voto di fiducia posto dal Governo di allora) è un ‘bicchiere mezzo-pieno‘, forse… ma rimane un enorme passo in avanti rispetto al recente passato quando ‘non avevamo nemmeno il bicchiere‘.
Migliaia di persone hanno potuto ufficializzare le proprie famiglie; alcune di queste, per ragioni di età o di malattia, non potevano aspettare oltre.
Tutto positivo, ma non mi accontento. Voglio andare avanti, con il matrimonio egualitario e con l’ampliamento dell’istituto delle unioni civili alle coppie eterosessuali.

  • Favorevole alla GPA – gestazione per altri (‘Utero in affitto’)?

Sì, con un’opportuna regolamentazione che tuteli dallo sfruttamento.
Credo che, a certe condizioni, una donna possa legittimamente decidere di provvedere alla gestazione e al parto per conto di altri; eventualmente anche a titolo oneroso.
In ogni caso, i diritti dei minori vanno pienamente garantiti.
Non credo, del resto, che la GPA possa essere il canale principale per realizzare la maternità e la paternità LGBTQI. Maggiore attenzione, invece, mi sembra vada dedicata a innovare gli istituti dell’affido, dell’adozione, dell’ufficializzazione della co-genitorialità sociale.
Ne ho scritto anche qui:
> Uno, nessuno o centomila? I figli delle persone LGBTQI

  • Che ne pensi del Coming out (cioè: persone LGBTQI che rivelano se stesse)?

Il coming out è un passaggio fondamentale nella vita delle persone LGBTQI. E’ un momento di grande liberazione.
Può essere doloroso, ma vale certamente la pena perché l’invisibilità, infine, non salva nessuno.
– Per molte persone LGBTQI della mia generazione, il coming out ha richiesto coraggio e pazienza. L’abbiamo pensato a lungo prima di realizzarlo; per chi ci ha ascoltato si è invece spesso trattato di uno shock improvviso, da elaborare in seguito. Vanno rispettati e curati i tempi di entrambe le parti.
– I giovani LGBTQI vivono diversamente questa esperienza: più precocemente, più in contatto con altre persone LGBTQI, forse meno amaramente di noi. Drammi e rifiuti avvengono anche al giorno d’oggi, in ogni caso, purtroppo.
Per poter procedere verso la parità, abbiamo assoluto bisogno di più persone LGBTQI che fanno coming out, in ogni ambiente di vita. Dobbiamo creare le condizioni per facilitare e promuovere questo processo.
Il coming out, in ogni caso, non può essere obbligatorio.
Ne ho scritto anche qui:
> L’ABC LGBTQI. Vocabolario minimo
> I gay ai tempi del web

  • Favorevole all’Outing (cioè: persone LGBTQI che vengono rivelate da altri)?

In generale, no, per vari motivi:
– Perché ognuno ha diritto ai propri tempi per fare coming out;
– Perché l’identità LGBTQI non può essere usata come una clava per fare violenza e svilire.
– Perché l’identità sessuale, di per sé, sia di minoranza sia di maggioranza, non toglie né aggiunge alcunché al valore di una persona.
Lo approvo eticamente solo quando la vittima è un rinomato imprenditore dell’odio contro le persone LGBTQI.

  • Sei femminista?

No, io sono per le pari opportunità di genere e il femminismo non è sufficiente per affrontarle.
Questo è un tema che mi sta molto a cuore.
In astratto, il miglioramento della condizione femminile è un obiettivo universale, prezioso, condivisibile.
Nel concreto, il femminismo vuole la parità di genere soltanto nella misura in cui le donne sono svantaggiate; non si interessa, invece, delle situazioni opposte, in cui sono gli uomini a vivere l’iniquità.
Il femminismo sbaglia a dare per scontato che tutte le ingiustizie di genere sono sempre e soltanto ai danni delle donne.
Io non intendo essere sessista e quindi non sostengo tale ideologia – né nella sua versione bio né in quella trans.
Se penso al mio percorso di vita, noto come questa riflessione – che è di minoranza rispetto al mainstream LGBTQI – sia diventata col tempo sempre più centrale nel mio pensiero.
Ne ho scritto anche qui:
> I 4 femminismi (finora)
> Femminismo e comunità LGBTQI: madrina o matrigna?
> Il patriarcato è come il glutammato
> La violenza di genere è un feticcio? Realtà, critiche e proposte di miglioramento

  • Teoria del Gender’: Che ne pensi?

Innanzitutto, non mi appassiona affatto la diatriba se esista o meno la ‘Teoria del Gender‘. Credo infatti che se due o più persone definiscono un fatto come reale, esso diventa reale nelle sue conseguenze – nel discorso pubblico, nell’arena politica, nei mass-media.
Trovo più promettente la sfida se il genere (cioè: ‘Ciò che abbiamo tra le orecchie‘) e il sesso (cioè: ‘Ciò che abbiamo tra le gambe‘) siano dimensioni biologiche, e quindi immutabili, o costrutti sociali, e quindi relativi.
A tale riguardo, sono convinto, per un verso, che il genere sia storicamente connotato, così come il ruolo di genere e l’espressione di genere; e che, per l’altro verso, il sesso, l’identità di genere e l’orientamento sessuale, seppur socialmente influenzati, non siano a disposizione della nostra volontà. In altre parole, non posso decidere se essere binario o non binario, eterosessuale o omosessuale; sono invece libero di vivere, rivelare e cambiare questi tratti come preferisco attraverso gli atteggiamenti, i comportamenti, i corredi identitari. Non condivido le ingenuità né dell’innatismo (‘Non puoi farci niente‘), né dell’ingegnerismo (‘Puoi fare tutto‘).
In generale, non ho una netta posizione in merito al binarismo e alla fluidità. Ho varie perplessità su queste formulazioni dell’identità, che mi sembrano più l’esito di elaborazioni teoretiche rispetto che di prassi reali; ma forse il mio giudizio è condizionato dalla mia appartenenza generazionale.
Infine, seguo da vicino ma con un certo disincanto le proposte genderiste in fatto di innovazioni linguistiche: asterisco, schwa. Non le sento particolarmente mie, le vivo da esterno. Sono critico.
Ne ho scritto anche qui:
> Pratiche Queer: opportunità e problemi
> Il genere delle parole è il genere nella società? Soluzioni e critiche
> Fratture. 4 punti di contrasto nella comunità LGBTQI

Is Sex-work Work’?

Potenzialmente, sì, in nome del valore assoluto dell’auto-determinazione.
Concretamente, però, osservo numerose, pericolose, eccessive semplificazioni in questo campo, con proposte di corto raggio, di discutibile validità, spesso contaminate da mero egocentrismo narcisista.
Avere tutti un profilo su OnlyFans non mi pare che possa essere la soluzione alle sfide che dobbiamo affrontare come persone LGBTQI.
Ne ho scritto anche qui:
> Fratture. 4 punti di contrasto nella comunità LGBTQI

PREP: Che ne pensi?

Ogni mezzo utile a prevenire l’HIV/AIDS va reso disponibile, anche perché nel nostro mondo – così globale e virtuale – i divieti possono essere agevolmente superati. Un mondo, per altro, dove i comportamenti e le aspettative sessuali sono notevolmente cambiati negli ultimi tempi.
Oggi l’azzeramento delle nuove siero-conversioni è un obiettivo possibile, di enorme importanza, che deve guidare la nostra strategia. Sono quindi molto favorevole all’introduzione massiva della PREP.
Con tre fondamentali azioni integrative:
– Un’adeguata attenzione anche alle persone HIV+, per non rifare lo stesso errore di anni fa, quando l’unico messaggio di salute che lanciavamo era: ‘Non ti infettare‘ (e il silenzio a chi era già entrato in contatto col virus);
– Un importante investimento sui bisogni affettivi e amorosi e sulla dipendenza sessuale, che la PREP, assieme al Viagra e alle Chems, ha notevolmente modificato;
– Una continuativa garanzia di cura delle altre MTS.
La PREP deve essere libera? Sì, certamente.
La PREP deve essere anche gratuita? Su questo sono meno convinto, perché temo gli effetti di una possibile banalizzazione di questo strumento. In termini di scelte responsabili di tutela della salute, ho l’impressione che un costo calmierato e affrontabile sia più efficace della piena gratuità.
Ne ho scritto anche qui:
> Fratture. 4 punti di contrasto nella comunità LGBTQI
> I gay ai tempi del web

  • Malattia tra diagnosi e giudizio

Le persone LGBTQI conoscono bene lo stigma connesso a certe diagnosi della medicina ufficiale.
Fino a pochi anni fa, infatti, l’omosessualità era considerata una patologia, e tuttora l’esperienza trans non è stata ancora totalmente de-patologizzata.
Un certo sospetto è quindi protettivo e fa parte del nostro patrimonio di comunità.
A partire da tale esperienza, e in nome dell’auto-determinazione, alcuni gruppi LGBTQI dichiarano che ogni diagnosi è un pregiudizio e che, in quanto tale, va combattuta perché genera discriminazione e insanità. Non più obesità, quindi, ma guerra alla grasso-fobia; non più spettro autistico, ma integrazione della neuro-divergenza.
Sono critico su tale normalizzazione, cioè sul trasferire questi stati nell’alveo della diversità: se, da un lato, difendo l’importanza di definire da sé il proprio vissuto, dall’altro scorgo il rischio di negare le provate conseguenze negative di tali condizioni in fatto di salute.
Ho comunque bisogno di approfondire questa questione al di là dei proclami e delle storie sui social.

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